Condannato per il cane La parabola di Di Risio
Arrestato per evasione dai domiciliari, l’ex della banda Battestini si scusa in aula «Al mio animale voglio bene come a un figlio, dovevo fargli sgranchire le zampe»
PESCARA. La parabola di Claudio Di Risio, simbolo decaduto della malavita anni 70-80 che sparava e rapinava, conosce una tappa sbilenca di un percorso criminale che ha avuto tutt'altro spessore. Per due volte in 48 ore, l’ex esponente della banda Battestini inciampa in un’evasione dagli arresti domiciliari, giustificata con la necessità di portare a spasso il cane, condendo l’ultima non autorizzata uscita da casa con le minacce ai carabinieri, buone per guadagnarsi anche l'accusa di resistenza.
Come una svista, una caduta di tono in un curriculum di reati costato già 27 anni di carcere e con il rischio di altri 30 all’orizzonte, Di Risio si ritrova così ad affrontare un sabato mattina, nell’aula 3 di un tribunale deserto, un processo di serie C che mina la patente di autorevolezza che il 51enne pescarese non vuol smarrire nell’ambiente della malavita e che pure la gambizzazione subìta l’11 luglio scorso sotto l’abitazione di via Nora, da dove era uscito - guarda un po’ - ancora eludendo i domiciliari e sempre con il cane, ha come offuscato. Di Risio, che in una dichiarazione registrata avrebbe fatto agli investigatori il nome di Roberto Martelli come responsabile dell’agguato, si è poi affrettato a dichiarare, anche via Centro, che lui no, quel nome non l’ha mai fatto, ché la legge della strada - l’unica che conosce - gli impedirebbe di macchiarsi di un’infamia simile.
Non è un caso, allora, che anche ieri mattina, rispondendo alle domande del giudice Antonella Di Carlo, ricordi che quella mattina qualcuno «che non ho visto, e non so perché, mi ha sparato» sei colpi di pistola calibro 45, testimoniati dalle stampelle che lo sorreggono. Come se il declino fisico e psicologico non lo avesse distolto dal ricordare urbi et orbi chi era e chi è Di Risio. Uno, per restare ai tempi recenti, che ha preso 13 anni a Foggia nel 1999 per droga, 8 a Pescara per il tentato omicidio del cognato, altri 5 per estorsione, 4 anni e 4 mesi a Chieti per una rapina al Conad, 1 anno e 10 mesi, l’ultima tacca, per la detenzione di una pistola. Farebbero 32 anni e rotti da scontare, se le sentenze, tutte di primo grado e tutte appellate, diventassero definitive. Roba da curriculum di peso, che fa a pugni con l’immagine odierna di un uomo con seri problemi di salute, «pensionato», come si definisce lui, «invalido al 90 per cento».
La cronaca giudiziaria di un arresto da dimenticatoio registra una condanna, con l’abbreviato e per direttissima, a un anno di reclusione per evasione e resistenza, in attesa delle motivazioni entro il 31 ottobre e di un processo bis a gennaio, sempre per essere evaso da casa con cane al seguito. Il difensore, Carlo Di Mascio, limita i danni, ottiene uno sconto di 6 mesi sulla richiesta del pm, cala la carta delle nuove norme a tutela degli animali – qualcosa di simile a uno stato di necessità – e deposita la perizia psichiatrica, fresca di pochi mesi, che vuole Di Risio affetto da vizio parziale di mente, con disturbi della personalità, ma non socialmente pericoloso. Soprattutto, incompatibile con il carcere. E’ la mossa che evita il ritorno al San Donato.
In aula, Di Risio mostra brandelli del malavitoso di un tempo. Ricorda il suo passato in carcere («27 anni di carcere mi sono fatto ...»), poi si scusa con i carabinieri insultati («Vi spacco la faccia») la sera precedente e ammette: «Ho sbagliato, avevo bevuto qualche bicchiere di troppo, non c’è nulla da dire: quello che devo pagare, pago». Tenta di giustificarsi per l’evasione: «Stavo chiacchierando con una vecchietta di 80 anni, che mi porta sempre il caffé. Come fai a non dare un bacio a una così?». E si aggrappa metaforicamente al cane che lo ha fatto finire nei guai: «Gli voglio bene come a un figlio». Il giudice si mostra umano, prova a scherzare: «Di Risio, resti dentro, sennò le sparano. Non esca di casa, ché la prendono a pistolettate. Ringrazi i carabinieri che vengono a controllarla». Lui si mostra affaticato, dice di respirare male. Lei, accomodante: «Vada in corridoio a farsi una passeggiata», scortato da 5 carabinieri. Alla fine, contrariamente alla richiesta del pm che vorrebbe Di Risio in cella, la Di Carlo gli concede l’ennesima chance. Domiciliari, ancora. Con nuova raccomandazione del giudice, sorriso sulle labbra: «Cambi casa. E cambi cane».
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