D’Alfonso, la Procura sequestra il certificato

Altro blitz della polizia, il procuratore Trifuoggi non esclude nuove misure
All’esame il documento che ha stoppato l’arrivo del commissario

PESCARA. Il certificato medico adesso è nelle mani del pm. Nuovo colpo di scena nell’inchiesta sul sindaco Luciano D’Alfonso. Ieri la polizia ha effettuato l’ennesimo blitz in Comune sequestrando il certificato redatto dal medico di fiducia e consigliere comunale del Pd Giancarlo Perfetto che attesta l’impedimento del sindaco a proseguire la sua attività. I magistrati vogliono vederci chiaro e mentre il procuratore capo Trifuoggi dice che l’inchiesta sarà chiusa in tempi rapidi, ad aprile, prima del ritorno al voto, non si escludono nuove misure cautelari.

NUOVO ARRESTO?
Nuovi provvedimenti restrittivi della libertà personale del sindaco, che ha ritirato le dimissioni ma ha ceduto la poltrona al suo vice Camillo D’Angelo, evitando, in tal modo, il commissariamento del Comune, sono tornati a essere un’eventualità che non viene esclusa. Lo dimostra la stessa iniziativa assunta ieri dalla Procura, che sta facendo le sue valutazioni sul nuovo scenario disegnato dalla scelta di D’Alfonso. Del resto, alla base del ritorno in libertà del sindaco, secondo l’ordinanza del gip Luca De Ninis della vigilia di Natale, vi erano tre «condizioni». La prima, l’arresto eseguito. La seconda, le dimissioni preannunciate e ritualmente presentate. La terza, il previsto commissariamento del Comune.

Una condizione, questa, che tuttavia non si è verificata e alla quale il gip collegava, come conseguenza logica e immediata, l’auspicato effetto dell’«ulteriore indebolimento della rete di rapporti intessuti dal D’Alfonso nell’esercizio della propria attività politico-amministrativa e della conseguente capacità di manipolare persone informate e documenti». Basterà al sindaco tagliare i ponti col Comune e con gli amici di sempre per mantenere la sua condizione di uomo libero? La Procura, qualora dovesse verificarsi l’insussistenza (al momento, ovviamente, puramente teorica) dell’impedimento permanente evidenziato dal sindaco, potrebbe presentare al gip una nuova richiesta di misura cautelare.

È certo, allora, che la Procura segue con molta attenzione anche le vicende legate alla conclusione anticipata della consiliatura della città adriatica, compresi i passaggi amministrativi, dal prefetto al ministero dell’Interno di cui si attendono le determinazioni su un caso del tutto singolare sul quale, mancando i precedenti, non vi sono al momento certezze. Appare evidente che, superata la fase della sorpresa per la decisione del sindaco, si stanno studiando tutte le contromosse possibili per riaffermare la bontà del lavoro svolto finora e per permettere all’indagine di continuare a reggersi in piedi resistendo anche agli attacchi politici. «La Procura della Repubblica di Pescara sta valutando quanto accaduto al fine eventuale di adozione di iniziative processuali». Parole, queste, che il capo della Procura pescarese pronuncia con il sorriso sulle labbra ma con grande determinazione.

Insomma, il caso-D’Alfonso, certificato medico compreso, è all’attenzione dei magistrati sotto tutti i punti di vista. Venticinque giorni dopo l’arresto del sindaco, messo ai domiciliari e poi liberato dal gip anche e soprattutto a causa delle dimissioni, mentre la doppia mossa del mancato ritiro e dell’asserito impedimento infiamma il dibattito politico, la Procura vuole vederci chiaro. Questo, appunto, non esclude nuove iniziative nell’ambito di un’inchiesta che sarà super-veloce. Come ci tiene ad assicurare lo stesso procuratore capo.

«PRIMA DEL VOTO». «Entro aprile l’inchiesta sarà conclusa». È lo stesso Trifuoggi a dettare i tempi di un’indagine che, dopo la fase delle misure cautelari, passa ora attraverso i riscontri degli accertamenti bancari e l’ultimazione degli interrogatori che vedranno sfilare di fronte al pm gli altri indagati (che in tutto sono 40), primo tra tutti il geometra Giampiero Leombroni coinvolto nel cosiddetto filone delle «parcelle d’oro». Dall’ex dirigente comunale, poi diventato dipendente di Carlo Toto, la Procura vuole farsi dire, a sostegno dell’ipotesi accusatoria, che è stato il sindaco a disporre di frazionare e ripetere gli incarichi assegnati ai due consulenti esterni del Comune, l’avvocato Marco Mariani e l’ingegnere Francesco Ferragina.

Quest’ultimi, i quali hanno subìto una perquisizione da parte della polizia a caccia di prove, hanno ricevuto otto incarichi, quattro a testa, per un totale di 340mila euro. Nel dicembre 2004, nella loro qualità di commissari di gara, approvarono la proposta di project financing sulla gestione dei cimiteri cittadini dell’associazione temporanea d’impresa Fidia (composta da Delta e De Cesaris) che avrebbe retribuito i due «solo a condizione che approvassero il progetto controllato» come scrive il gip Luca De Ninis in un passaggio dell’ordinanza. Almeno per metà degli incarichi affidati ai due dallo stesso Leombroni, secondo l’accusa, sarebbe stato provato che la parcella fu liquidata dalle imprese aggiudicatarie. Insomma, i controllati avrebbero pagato i controllori.

Un sistema già evidenziato, secondo gli investigatori, dall’indagine sul Comune di Montesilvano. In questo caso, poi, secondo la procura, gli incarichi sarebbero stati ripartiti e mantenuti ciascuno sotto il limite dei 100mila euro in quanto solo così sarebbe stato possibile un affidamento diretto, di carattere discrezionale, senza ricorrere a una gara. La figura di Leombroni, indagato per corruzione, viene ritenuta di fondamentale importanza nell’architrave dell’inchiesta in quanto l’ex dirigente ha curato in prima persona sia l’appalto delle aree di risulta della stazione ferroviaria (da 53 milioni di euro) vinto da Toto sia l’affidamento della gestione dei cimiteri (un affare da 18 milioni). In attesa dell’interrogatorio, ritenuto di grande importanza ai fini dell’indagine, l’altro fronte è quello degli accertamenti bancari.

CACCIA AL TESORO. Nelle carte consegnate dai poliziotti al pubblico ministero Varone, che trascorre tutta la mattinata seduto alla sua scrivania al terzo piano del palazzo di giustizia, chiuso in una lunga riunione tecnica, c’è forse la risposta alle domande. Non ci sono conferme dirette sul punto, ma dagli investigatori traspare una certa sicurezza sulla ricerca delle prove della corruzione che non si arresta. Tra le banche che sono state interpellate, allo scopo di fornire, in tempi rapidi, informazioni le più dettagliate possibili sui passaggi di denaro sui conti correnti personali degli indagati e delle imprese coinvolte nell’indagine, ci sono anche la Caripe e la San Paolo Banca dell’Adriatico. I risultati della «caccia al tesoro» non sono noti.

«SEGUO TUTTO». Alla Procura di Pescara i pm «sono autonomi» ma lavorano «in stretta sintonia» col capo dell’ufficio che sa tutto e segue tutto, «altrimenti qui facciamo come Salerno e Catanzaro», osserva Trifuoggi. «Seguo molto da vicino la vicenda e tutti gli sviluppi che ci sono», aggiunge il procuratore. «Nel nostro ufficio, oltre al rispetto delle regole, ci sono anche buoni rapporti che facilitano le cose. I colleghi, nel pieno della loro autonomia, ritengono di informarmi sulla loro attività. So tutto di tutti i magistrati di questa Procura e in linea di massima condivido quello che vi accade. Ho la piena conoscenza degli atti e, riguardo all’inchiesta sul sindaco, essi hanno il mio avallo completo e la mia supervisione costante. Ne sono, dunque, ugualmente responsabile come lo è il pubblico ministero titolare. Non c’è alcuna distanza tra me e il sostituto Varone. Lavoriamo in piena armonia».