Daniele Tinti tra L’Aquila e Roma: «In Abruzzo sono diventato adulto»

12 Marzo 2025

La mente dietro “Tintoria” racconta la sua vita nel capoluogo abruzzese dall’infanzia al sisma. Il comico: «La rivalità tra province non mi interessa». Poi l’appello: «Fate un open-mic a Pescara». L’Abruzzo è una regione stupenda e sottovalutata. Pescara è una bella città, ma all’Aquila meglio non dirlo

PESCARA. Con Tintoria siete recentemente stati a Sanremo per Rolling Stone, ma è tutto partito da una cucina. Come sta crescendo il podcast?

«È cambiato molto in pochi anni ed è bello, almeno per me, vedere in che modo continua a crescere. Adesso è più strutturato, c’è Stefano (Rapone, ndr) con me e lo registriamo davanti a un pubblico. Quelli che ci seguivano all’inizio sono rimasti ma adesso quel pubblico si è arricchito».

Anche certi ospiti hanno dimostrato di essere vostri fan.

«Sì, è bello vedere che alcuni di loro vengono già preparati sulle domande ricorrenti del podcast».

Quando avete iniziato non esisteva un panorama di podcaster italiano, almeno nel campo comico. Oggi quasi chiunque ha un podcast. Non rischia di diventare un linguaggio inflazionato?

«Spesso si dice che sia un rischio avere troppi podcast, ma la mia opinione è che ce ne sono ancora troppi pochi in Italia».

Non è una bolla destinata a scoppiare?

«Sicuramente è una bolla e come tutte le bolle scoppierà, ma se uno ha voglia di provare dovrebbe farlo indipendentemente da tutto. Tintoria lo abbiamo fatto per anni senza soldi e senza numeri, solo per il gusto di farlo».

Alcuni dei suoi monologhi parlano dell’Aquila. Ci racconta il suo rapporto con questa città?

«Sono arrivato all’età di due anni e sono restato fino ai 18, poi sono tornato a vivere a Roma, dove sono nato».

Quindi come si sente? Romano o Aquilano?

«Io sono romano a tutti gli effetti, vivo a Roma da 15 anni e ho lì la residenza. Però i primi 18 anni della mia vita li ho fatti a L’Aquila, sono diventato adulto crescendo lì. Sono anni che mi sono rimasti dentro e mi sento un po’ aquilano. Anche perché se ora me ne vado per 18 anni in un’altra città, non ha impatto su di me. Ma i primi 18 anni sono decisivi, ti lasciano un segno.

Come è finito all’Aquila?

«Da parte della mia famiglia c'era la voglia di andare via da Roma e alcuni dei nostri parenti erano andati all’Aquila, ma prima siamo stati per un po’ a Scoppito. Poi, dopo tanti anni, siamo andati via nell’aprile 2009, ovviamente per il terremoto».

Dopo il sisma è mai tornato?

«Ad agosto torno sempre, anche perché l'aria è più fresca. Oddio, ormai fa caldo anche all'Aquila, però meno che a Roma sicuramente. E poi lì ho ancora tanti amici, i miei genitori tornano volentieri e io con loro. Anzi, gli anni immediatamente successivi al terremoto tornavo davvero spesso, adesso con il lavoro è più difficile organizzarsi».

Cosa ha perso con il terremoto?

«Sono stato relativamente fortunato, ed è triste dirlo parlando di circostanze simili, ci sono state persone che hanno perso tanto. Io vivevo in centro, casa è stata inagibile per 9 anni, è stato brutto ma c'è chi ha perso persone molto vicine, quindi rispetto a queste tragedie posso dire che a me è andata bene».

E non ha fatto l’esame di Stato.

«Era l'ultimo anno di scuola, il terremoto c'è stato ad aprile, dopo quella notte nessuno è più rientrato. Qualcuno so che ha concluso gli ultimi mesi a Pescara. Io sono stato ospite da un amico a Roma e ho frequentato scuola lì per un mese».

Com'è stato?

«Devo dire piacevole perché l'Italia in quel momento era estremamente accogliente con i terremotati, mi è bastato andare dalla preside, dire che ero dell'Aquila, chiedere di frequentare scuola per qualche tempo e lei ha acconsentito senza problemi».

Cosa ricorda di quel periodo?

«In un certo senso rimani vincolato alla persona che eri e ai rapporti sociali e familiari che avevi, ma nella realtà gli amici e i parenti sono sparpagliati, diventi una persona diversa nel giro di una notte ma ti ci vuole tempo per capirlo davvero».

Mi ha detto che ha passato gli anni decisivi della sua formazione all'Aquila. Ha dei posti del cuore?

«Ne avevo tanti, anche perché essendo quelli gli anni dell'adolescenza è una città che ho vissuto davvero al massimo. Per esempio, ricordo bene Piazzetta Nove Martiri, Piazzale Paoli, Piazza San Pietro. Ecco, ricordo che a Piazzale Paoli ci giocavo sempre a pallone, mentre ho un legame speciale con Nove Martiri perché, se si saltava scuola, si andava lì, che era anche un punto di ritrovo la sera con gli amici».

Oggi ricordando l'Aquila a cosa pensa?

«Sono rimasto molto legato all’immagine della città che ho vissuto e solo negli ultimi anni mi sono abituato a vederne una diversa da quella che ho in testa. Ci sono ancora questioni irrisolte e vari problemi ma a me piace moltissimo e adoro gli Aquilani».

E gli Abruzzesi?

«Dunque, devo specificare una cosa: io distinguo gli Aquilani dal resto degli Abruzzesi, non so bene perché, forse per la posizione della città di là dal Gran Sasso. Certo, con le altre province poco ha da dirsi. E avendo vissuto in Abruzzo fino ai 18 anni, senza patente, ho potuto girare poco e ho vissuto molto L'Aquila più che il resto della regione».

E dove andava al mare?

«In Toscana, perché con la famiglia di Roma ho frequentato i luoghi dell'estate romana. Davvero l'Abruzzo l'ho iniziato a scoprire, fuori dall'Aquilano, più adesso che prima».

Allora mettiamola così: ora che sta riscoprendo l’Abruzzo non Aquilano, cosa le piace della regione?

«Penso che sia tutta quanta clamorosa. Per esempio, Pescara è una gran bella città, anche se per educazione, crescendo all’Aquila, prima non lo dicevo. Ma la rivalità tra le città non mi ha mai interessato. Mi godo la regione per com’è, la parte naturalistica è stupenda anche se molto sottovalutata. E forse è pure un bene».

Perché?

«Guarda quello che succede l'estate sul Gran Sasso, dove ci sono momenti in cui per salire quasi devi prendere il numero e metterti in coda».

Ha seguito il caos di Roccaraso?

«Sì, una bella botta di turisti che immagino porti anche un buon guadagno a località come quella. Poi diciamo la verità, la si è raccontata come la guerra dei mondi perché erano napoletani...»

Si è calcata un po’ la mano?

«Credo che in questo paese ci sia proprio un problema nel raccontare i napoletani».

Però quei posti sono davvero invasi da turisti.

«Infatti torno a dire che sono contento che alcune località in Abruzzo siano ancora poco conosciute e quindi le si possa ancora visitare in pace».

Era già a Roma quando ha iniziato la stand-up?

«Sì, ero già andato via da un po’».

Ma c’era una scena di standup all’Aquila?

«Che io ricordi no, non so come stiano le cose adesso. All’Aquila c’è lo “Spazio Rimediato” con una rassegna teatrale in cui ogni tanto c’è spazio anche per i comici. A Pescara non so se c’è un open-mic, mentre a Chieti c’è Primo, un locale che ha saputo creare una bella realtà per la standup e per chi viene in Abruzzo in tour è una tappa obbligata».

Non credo ci sia a Pescara.

«E allora lanciamo un appello: create uno spazio per far esibire i comici del posto, è importantissimo per fare esperienza».