L'immobile più grande del centro servizi Val Pescara gestito dal Parco scientifico e tecnologico

CHIETI

Doppia inchiesta sul colosso dimenticato / VIDEO

Procura e Corte dei conti indagano sul Parco scientifico tecnologico. È costato 20 miliardi di vecchie lire: mai aperto

CHIETI. Una doppia inchiesta cerca di scoperchiare il pentolone del Centro servizi Val Pescara, qualcosa come 100mila metri quadrati su cui sorgono due immobili di oltre 6.000 metri quadrati, costati alla fine degli anni 80 venti miliardi di vecchie lire.

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Un parco tecnologico sepolto dai rovi
Ecco la grande imcompiuta su cui tornano a indagare la magistratura penale e contabile (video di Lorenzo Colantonio)

In quella struttura, enorme e abbandonata, circondata e nascosta tra i rovi di contrada Selvaiezzi, tra Chieti Scalo e l’Asse attrezzato, doveva insediarsi e funzionare il Parco scientifico e tecnologico d’Abruzzo, una grande scommessa lanciata dal Consorzio industriale Val Pescara, le Università di Chieti-Pescara e L’Aquila, dal Mario Negri Sud e da società molto note. Era il 1993, per la precisione il 5 maggio.

Maurizio Stanco, procuratore della Corte dei Conti

IL NAUFRAGIO. Ma la grande scommessa non è mai partita e ora, su quel colosso abbandonato, indagano la procura di Chieti e la Corte dei conti dell’Aquila. È stata quest’ultima ad avviare le indagini e quindi ad avvisare la Regione Abruzzo affinché si desse da fare per tornare in possesso degli immobili dimenticati che, dopo una serie di stravolgimenti societari, sono finiti ad una società per azioni nata dopo la fuoriuscita della Regione.
Ma prima di fare ordine sulla complessa storia del Parco tecnologico occorre precisare che la Regione si è attivata per tornare in possesso del bene.
LA LUNGA STORIA. Era il 1989 quando la società Proger presenta il progetto finanziato con fondi comunitari attraverso il ministero delle Finanze allora retto da Cirino Pomicino. La struttura viene costruita dalla società Di Vincenzo. E furono lavori costati 20 miliardi di vecchie lire. Di immobili come questo ne esiste uno gemello ad Avellino, finito al centro di un’inchiesta giornalistica di Report, all’epoca ancora condotto da Milena Gabanelli. Ma torniamo in Abruzzo.
LA NASCITA. Nel 1993 il Consorzio Abruzzo innovazione insieme al Consorzio Abruzzo qualità costituiscono ufficialmente il Parco scientifico e tecnologico d’Abruzzo. Siamo a maggio. Appena due mesi dopo, l’allora presidente della giunta regionale, Vincenzo Del Colle, viene autorizzato con una legge ad hoc a fare aderire la Regione al Consorzio del Parco scientifico tecnologico. La natura pubblica si concretizza così.
Passano altri sei anni e, nel 1999, accade che attraverso un bando pubblico aderiscono altri due consorzi composti da oltre trenta società tecnologiche interessate alla grande scommessa. Ma non si muove nulla finché, nel 2003, su proposta dei rappresentanti delle Regioni, l’avvocato Benigno D’Orazio, Stefania Pezzopane e Pasquale Di Nardo, aderiscono al Parco scientifico e tecnologico anche i Consorzi industriali di Teramo e dell’Aquila. Ma non servì a far decollare la struttura. Anzi.
LA REGIONE SE NE VA. È il 2007 quando, su iniziativa dell’allora presidente Ottaviano del Turco, la Regione esce dal Consorzio e, subito dopo, vanno via anche i consorzi industriali di Teramo e L’Aquila.
La decisione viene presa alla vigilia di un atto determinante. Il 5 novembre 2007 infatti il Parco scientifico e tecnologico si trasforma in “società di capitali” costituita dal top dell’imprenditoria abruzzese. Sugli atti di cui il Centro è venuto in possesso, atti che ricostruiscono le vicende consortili prima e societarie poi, nel colosso dimenticato compaiono quindici grandi società.
Ma la componente pubblica, la Regione, ormai non c’è più. E l’operazione diventa prettamente privata.
LA STORIA NELLA STORIA. La Spa, stando agli atti di cui siamo in possesso, diventa poi una Srl. E c’è anche una storia nella storia, che accadde nel 2009, quando l’enorme struttura viene scelta come sede di Cadra, la società costata 6milioni di euro che avrebbe dovuto dematerializzare milioni di documenti degli enti locali abruzzesi per trasferirli su internet. Un’operazione che però non si è mai completata. Ma questa è un’altra storia.
CHI C’ERA E CHI C’È. Torniamo al Parco tecnologico dove, dal 1993 ad oggi, si sono alternati cinque presidenti di cda, ruolo ricoperto dal professor Diego Barba fino al 2002 quando gli è subentrato l’avvocato Benigno D’Orazio che, nel 2006, passa il testimone al dottor Rocco Finocchio il quale resta presidente fino al 2014 quando gli subentra Rolando Luberti che, dal 2015, lascia il posto al dottor Antonio Gabriele affiancato dall’amministratore delegato Alberto Santalucia e dai membri del cda Luberti, Gaetano Iaquaniello e Giuseppe Cetrullo. Arriviamo così a tempi più recenti.
UN ANNO FA. Il 19 giugno del 2017 il collegio dei liquidatori del Consorzio per lo sviluppo industriale dell’area Chieti-Pescara, ente strumentale che realizzò l’opera, quantifica in 6milioni il credito vantato nei confronti del Parco scientifico tecnologico. La nota del presidente del collegio dei liquidatori viene inviata alla Regione che, a luglio di un anno fa, intima ai responsabili, i nuovi naturalmente, della grande struttura dimenticata di rilasciare e quindi restituire gli immobili versando le somme dovute a titolo di indennità di occupazione. È il passaggio principale di questa vicenda infinita.
DA PUBBLICO A PRIVATO. Una vicenda che vede al centro una struttura pubblica finita in mano a una società per azioni e poi a una srl, che quindi ha perso i requisiti soggettivi per la gestione, a titolo gratuito o comunque agevolata, degli immobili realizzati con fondi comunitari. Ma la diffida della Regione è rimasta senza risposta. La storia però subisce un’improvvisa accelerazione il 23 luglio scorso, sfociando in un sopralluogo al quale, tra gli altri, partecipano anche i Carabinieri e la Guardia di Finanza.

Il cartello del Parco sepolto dalle erbacce

LA CASA DEGLI ORRORI. Sono due gli immobili presenti nel vasto terreno di 10 ettari. Il più grande, che esternamente può sembrare integro, nasconde all’interno uno scenario da incubo che gli investigatori si sono trovati davanti agli occhi.
Non esiste più nulla all’infuori delle mura perimetrali. Ogni elemento d’arredo è stato divelto in modo irrimediabile, il pavimento è un contenitore di acqua putrida, rifiuti ed erbacce. Così come l’intera area finita nel mirino di due procure, quella penale e l’altra contabile, è totalmente invasa da rovi ed erbacce. E lo spreco più grande d’Abruzzo.