Età dell'Universo: il test nel Gran Sasso fa il giro del mondo
Gli scienziati scoprono un nuovo e importante indizio sul "grande scoppio". Lo studio rilancia l’Istituto di fisica nucleare finito al centro del caso Traforo
L’AQUILA. Lo conosciamo come il “grande scoppio”, ed è il momento in cui l’Universo ha incominciato a espandersi. Da quell’attimo sono passati dai 13 ai 14 miliardi di anni. Un tempo per noi inimmaginabile, eppure c’è qualcosa che va oltre il Big Bang. A osservare il fenomeno sono stati i ricercatori dell’Istituto di fisica nucleare, che dal laboratorio sotterraneo del Gran Sasso hanno immortalato la prima misura diretta di quella che gli scienziati chiamano “doppia cattura elettronica dell’isotopo xenon-124”.
IL GIRO DEL MONDO. Lo studio, già pubblicato su Nature, sta facendo il giro del mondo, e in un periodo in cui si torna a parlare di “sistema Gran Sasso”, inteso come un insieme nel quale convivono (non sempre serenamente) i laboratori dell’Infn, i tunnel autostradali, e l’acquifero più importante del Centro Italia, racconta una storia che porta l’Abruzzo nel gotha della ricerca scientifica mondiale.
UN TEMPO INFINITO. L’eccezionalità della “scoperta”, sta nel fatto che un evento del genere, come quello osservato ad Assergi, si verifica ogni 26mila miliardi di miliardi di anni. Un tempo infinito, che ci fa paura persino immaginare, tanto il timore di aver capito male. Gli studiosi erano al lavoro da circa un anno, e forse neanche loro ci speravano. Eppure, quell’evento così raro che aiuterà a comprendere i meccanismi dell’Universo, età, origine e forse anche la fine, si è materializzato sotto i loro occhi. Tutto questo fa sperare che prima o poi il “silenzio” cosmico che avvolge il laboratorio aquilano riveli anche una particella di materia oscura, la grande assente si cui si ipotizza l’esistenza ma che nessuno ha mai osservato.
CHE COS’È? La “doppia cattura elettronica dell’isotopo xenon-124” non è un concetto di semplicissima comprensione, per noi comuni mortali. «Si tratta», dicono gli scienziati, «del processo di decadimento più raro mai osservato, la cui vita media è ben mille miliardi di volte maggiore dell’età dell’universo. Questi nuovi risultati forniranno informazioni utili non solo per i modelli sulla struttura nucleare ma anche per altri esperimenti che studiano processi rari».
Ma che cos’è un decadimento? Proviamo a spiegarlo con parole semplici, accettando il rischio di incorrere in imprecisioni. Nella fisica delle particelle, quella che si studia sotto i milioni di metri cubi di roccia del Gran Sasso, il decadimento rappresenta una sorta di “trasformazione”. Se a trasformarsi è una particella elementare, saremo in presenza di un decadimento cosiddetto “particellare”; se a trasformarsi sarà un nucleo atomico si parlerà di decadimento radioattivo.
L’ESPERIMENTO. Intorno al progetto lavorano 160 scienziati italiani, statunitensi e alcuni provenienti dal Medio Oriente. Consiste in un rilevatore di “eventi” costituito da tre tonnellate e mezzo di Xenon liquido e gassoso alla temperatura di meno 95 gradi centigradi, contenuto in un rivelatore cilindrico di circa un metro di diametro e altezza.
UN LAMPO DI LUCE. La prova della trasformazione di una particella è data da un debole lampo di luce accompagnato da una “manciata” di elettroni, che a loro volta vengono convertiti in luce una volta raggiunta la parte di xenon gassoso. Entrambi i segnali sono registrati grazie a fotosensori ultrasensibili. Xenon1T ha come principale obiettivo scientifico la ricerca diretta di materia oscura sotto forma di Wimp (particelle massive debolmente interagenti), ed è attualmente il rivelatore più grande mai realizzato per questo scopo.
UN EVENTO RARO. «Essere riusciti a osservare in modo diretto un decadimento così raro», spiega Elena Aprile, professoressa della Columbia University, «conferma in modo inequivocabile le grandi potenzialità del nostro rivelatore».
I RICERCATORI. I gruppi Infn sono coordinati da Marco Selvi, e guidati da Gabriella Sartorelli, Walter Fulgione, e Giancarlo Trinchero. Con l’aggiunta dei gruppi delle sezioni Infn di Napoli e Ferrara, guidati rispettivamente da Michele Iacovacci e Guido Zavattini, i gruppi italiani sono coinvolti anche nell’attuale estensione del progetto, con il rivelatore XenonnT in fase di costruzione all’interno dei laboratori.
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