«Ferito da un colpo di cannone la mano intrisa del mio sangue»

22 Giugno 2014

Il racconto del sottotenente ortonese Alfonso Onofrii

Corre l’anno 1967 quando Alfonso Onofrii decide di porre mano alla sua memoria per raccontare, come spiega il titolo scelto dall’autore per l’opera autobiografica, “La mia guerra su quattro fronti”. Quattro: il Carso, le Alpi, la Macedonia e la Libia. Una traiettoria, quella di Onofrii, non comune e che si conclude con la consegna del testo, scritto a mano su 4 quaderni, all’Archivio Nazionale di Pieve Santo Stefano, che lo accoglie nel 1997. Una destinazione individuata, come scriverà lo stesso Onofrii, “su gentile indicazione dello scrittore Mario Rigoni Stern”.

LO SPECIALE La grande guerra, cent'anni dopo i diari raccontano

Alle prime luci dell’alba del 20° giorno di trincea, sicuro ormai che l’artiglieria avesse cessato il fuoco, mi sedetti per terra al margine di un traversone. Accesi una sigaretta. Voltandomi a destra per staccare col dito anulare la cenere dalla sigaretta, mi apparvero le quattro fiammate dei cannoni della batteria. Istintivamente mi girai sul fianco sinistro e subito dopo fui investito dallo scoppio della granata, che aveva colpito in pieno la pietra su cui appoggiavo il gomito. Mi ritrovai bocconi in mezzo a un denso fumo e per l’urto della pietra sentii un intenso dolore al bacino. Il fumo si stava diradando, alzai la testa e vidi al mio fianco due soldati a terra che si lamentavano per le ferite. La granata aveva posto fuori combattimento altri 5 uomini del mio plotone (...). Accorsero i portaferiti, venne anche il capitano, che era in un ricovero poco lontano, e vollero sistemarmi sulla prima barella. Rifiutai, additando i soldati che forse erano feriti più gravemente di me e rimasi ancora per circa un quarto d’ora sdraiato, passando ripetutamente la mano lungo la gamba. Avevo il pastrano lacerato dalle schegge sul lato destro fino alle spalle: il traversone mi aveva salvato la testa. Tolto il pastrano, anche i pantaloni e la giacca presentavano degli strappi. Feci scorrere la mano internamente fino al ginocchio e la ritirai intrisa di sangue. I soldati feriti erano già stati trasportati via e tentai una seconda volta di alzarmi, ma fu necessaria la barella per giungere al posto di medicazione. Ritrovai i due soldati, che erano caduti al mio fianco, stesi sulle barelle. Quando mi videro, insistettero col tenente medico perché mi medicasse prima di loro, cosa che non accettai, avendo notato che erano feriti gravemente. Infatti, uno aveva una grossa scheggia conficcata nella tempia destra e l’altro uno squarcio all’inguine. Il tenente medico si apprestò a togliere la scheggia ed appena ebbe terminato il soldato si accasciò esalando l’ultimo respiro. Il medico iniziò la medicazione del secondo soldato, ma anche questi cessò di vivere quasi subito.

Alfonso Onofrii

(Ortona, 1986-1980, sottotenente del 18º Reggimento fanteria Brigata Acqui)