L’INTERVISTA

Il ballerino Mancini: «La danza è espressione dell’anima Nureyev la mia stella»

29 Gennaio 2025

Il ballerino e coreografo di Chieti è rientrato dal Giappone: «A 19 anni mi volle Béjart e i miei dissero: allora è bravo»

CHIETI. Le sue coreografie illuminano i teatri nel mondo, sale in cui aveva prima brillato da ballerino solista delle compagnie del grande Maurice Béjart, Ballet du XXe siècle e Béjart Ballet Lausanne. Giorgio Mancini, classe 1964, nato ad Atessa e cresciuto a Chieti, è un nome importante e richiesto della danza internazionale, coreografo per étoiles e teatri prestigiosi, già direttore del Grand Théâtre de Genève e del MaggioDanza del Maggio Musicale Fiorentino, oltre che autore per La Scala di Milano, Balletto Reale delle Fiandre, San Carlo di Napoli, Balletto di Karlsruhe, Conservatorio nazionale di Lione, Biennale di Venezia e tante altre istituzioni. Sempre in giro per il mondo, l’artista abruzzese è da poco rientrato dal Giappone e si racconta al Centro. «Ho ancora addosso il fuso orario. ln Giappone ho avuto la prima dello spettacolo “A day in the sun” per il Gran Gala Mathieu Ganio, étoile dell’Opéra di Parigi, protagonista con Rei Yuzuka, star del musical giapponese. Ho messo insieme i due mondi, balletto classico e musical. Siamo stati a Osaka, Nagoya e Tokyo, in tre teatri da 4mila posti dove i biglietti sono andati esauriti in 5 minuti. In Giappone avevo già portato altri spettacoli e vi ero stato in tournée come danzatore con la compagnia di Béjart».

Maestro, riesce a trovare il tempo per tornare in Abruzzo?

«Ho vissuto molto all’estero, sono tornato in Italia vent’anni fa per dirigere il balletto del Maggio Fiorentino. Abito a Firenze, ma conservo a Chieti la casa dei miei, che non ci sono più. Dal Covid ci torno spesso. Ho fatto il lockdown in campagna, e mi piace l’idea di tornare in Abruzzo, vicino al mare».

Nato il 29 febbraio, quando festeggia il compleanno?

«Ogni quattro anni, mi mantengo giovane (ride). Mia madre mi faceva portare i pasticcini a scuola sia il 28 febbraio che il 1° marzo».

Come si è avvicinato alla danza? La famiglia ha assecondato la sua scelta?

«È stato un avvicinamento casuale. Ho iniziato a dieci anni a Chieti nella scuola di Filomena Nudi, oggi diretta dalla figlia Cristina. Ballavo sempre a casa e mia mamma, che aveva un’amica con figlia iscritta alla scuola di danza, decise di portarmi. Seguivo tutti i balletti di Raffaella Carrà in tv e le Maratone di Vittoria Ottolenghi (giornalista di danza, la sua “Maratona d’estate” andò in onda in Rai per vent’anni, ndr). Quando l’insegnante disse ai miei genitori che ero portato, loro quasi si spaventarono e mi dissero che dovevo prima pensare a studiare. Ho ripreso la danza a 16-17 anni, e non è stato facile. Finché, dopo il diploma al liceo scientifico, non ho fatto l’audizione per la scuola Mudra di Béjart a 19 anni. Lì i miei si son detti che se mi aveva preso un grande maestro significava che davvero ero bravo. Mi hanno sostenuto, anche economicamente, ma già dopo un anno ho avuto il contratto con la compagnia di Béjart e a vent’anni ero indipendente».

Si è formato anche all’Accademia nazionale di danza di Roma, preparato da Rossana Raducci per gli esami, e ha proseguito la sua formazione al Mudra di Bruxelles. È stato fondamentale andar via dall'Italia?

«Fondamentalissimo, all’estero la competizione è più alta. Al Mudra eravamo 65 ballerini, tra uomini e donne, di 20 nazionalità, c’era un grande scambio culturale, era tutto molto interessante. Nel 1989 ha ricevuto il Premio Positano da Rudolf Nureyev, che sarebbe morto di lì a quattro anni».

Che ricordo ha dell’incontro con l’astro mondiale della danza?

«Conservo una sua frase bellissima. Lo avevo già incontrato a Reggio Emilia al corso di perfezionamento dell’Ater Balletto. Al Positano era già molto malato ma venne ugualmente, dalla vicina isola Li Galli di sua proprieta, insieme a Vittoria Ottolenghi. Io avevo ballato un assolo coreografato da Béjart sulla canzone di Edith Piaf “Mon Dieu, Lucien” e ci incontrammo a fine spettacolo dietro le quinte, prima della consegna dei premi. Lui mi fermò e mi disse: sei un bellissimo ballerino. Quel meraviglioso complimento è un ricordo che tengo stretto».

Ha interpretato tanti ruoli da solista. Quale il più significativo, non solo per la sua carriera quanto per lei?

«Proprio quel balletto, “Piaf” di Béjart per 13 danzatori, il mio era il ruolo di capofila. Erano tutte coreografie su canzoni di Edith Piaf. Ci sono tanti altri balletti ma questo assolo lo sentivo più mio».

E la sua coreografia più importante?

Il “Romeo e Giulietta” per il Maggio Musicale Fiorentino con la meravigliosa Letizia Giuliani, che ora ha smesso, una ballerina molto duttile, musicale, un balletto rimasto nel mio cuore, difficile da montare, costoso, con tanti video. E poi “Pinocchio”, “Tristano e Isotta” con Dorothée Gilbert e Mathieu Ganio, che abbiamo portato in tutta Europa, a Tokyo, e al bellisimo Festival di Ravello. E nell’aprile di un anno fa la creazione “Nuit dansée” per il Balletto dell’Opera di Roma diretto da Eleonora Abbagnato con i costumi di Maria Grazia Chiuri nella serata “Nuit Dior” a Parigi al Palais des Congrès. Per me la chiusura del cerchio perché lì ho ballato la prima volta con Béjart. Una bella emozione».

Qual è la poetica alla base delle sue creazioni?

La narrazione del sentimento più che della storia. Per me è importante il movimento come espressione dell’anima, con grande sincerità. Il gesto nasce dentro l’anima prima di diventare movimento. Non corro molto dietro la tecnica, mi interessa di più la geometria coreografica».

Nel 2011 ha fondato la sua compagnia GM Ballet. Come si conciliano responsabilità e creatività?

«Ho diretto per 10 anni il Balletto di Ginevra, sette anni il Balletto di Firenze, pur essendo direttore artistico di queste due compagnie ho dovuto comunque sporcarmi le mani nell’amministrazione e questa esperienza l’ho portata nella mia compagnia, fondata con Patrick Lesage, direttore amministrativo. Ma la soluzione migliore è essere coreografo free lance, è molto più comodo, non devo occuparmi d’altro».

Ha ideato coreografie per tante étoiles. Come ci si relaziona con le stelle?

«Severità, complicità... Complicità e compromessi, bisogna capire fino a che punto si può insistere. E poi loro hanno anche il loro mondo in cui si devono ritrovare, c’è complicità e anche diplomazia. Quando ho creato lo spettacolo “Callas, la voce che danza” per otto étoiles di Parigi ho dovuto giostrare bene i ruoli, perché ognuno vuol essere più étoile dell’altro. Sono come una famiglia ma c’è pure competizione. È complicato, bisogna essere diplomatici, voilà».