ABRUZZO
In 120mila devono rinunciare a curarsi
Il consigliere ed ex assessore alla Sanità Paolucci (Pd): «Quarto peggior dato Italia per diritto alla salute e ultimi nella classifica per gli adempimenti dei Lea»
PESCARA. Poveri da morire. Il nuovo rapporto della Fondazione Gimbe, presentato due giorni fa a Roma, nella Sala Capitolare di Palazzo della Minerva, del Senato della Repubblica, descrive un Abruzzo in cui troppe famiglie non riescono più a curarsi. È un esercito più numeroso di quanti vivono a Pescara, la città più grande d’Abruzzo, che rinuncia a guarire dalle malattie. Costretto a morire per povertà.
«Brutto e preoccupante il dato che emerge dal rapporto Gimbe 2024, basato sull’elaborazione di dati Istat 2023, sul sistema sanitario nazionale e che condiziona il diritto alla salute», esordisce Silvio Paolucci (nella foto in basso) capogruppo del Pd ed ex assessore regionale alla Sanità.
L’Abruzzo ha infatti il 9,2 per cento di famiglie che devono rinunciare alle cure, contro il 7,6 del Paese, un triste primato, perché in percentuale siamo la quarta regione d’Italia, alle spalle di Sardegna, Lazio e Marche, per pazienti che per ragioni economiche decidono di rimanere malati, tradotto in cifre sono 120.704 persone che restano fuori da prestazioni e servizi e che la Regione non riesce a recuperare.
Questo denuncia il report di Gimbe che traccia anche il quadro dei Livelli essenziali di assistenza, i Lea, che vedono l’Abruzzo in coda alla classifica nazionale e confermano il trend negativo.
«Il trionfalismo di Marsilio rispetto a inaugurazioni di mura (gli ospedali di comunità, ndr) senza servizi è stato punito dai dati», incalza il capogruppo Dem, «la regione è in fondo alla classifica degli adempimenti Lea, con il -30,86, dato che conferma i rilievi dello scorso anno. Significa che restiamo fra le sei zone rosse nazionali dei tre parametri (area prevenzione, area distrettuale e area ospedaliera), rispettivamente con il 49,31 su prevenzione, 62,18 su area distrettuale e 73,10 su area ospedaliera: il punteggio totale è di 184,59 che ci considera come “regione inadempiente” secondo il nuovo sistema di garanzia».
Ma la Fondazione Gimbe va oltre e, nelle 194 pagine di rapporto sulla sanità in Italia, analizza anche l’andamento altrettanto negativo della mobilità passiva, di chi decide di curarsi fuori dall’Abruzzo, come conferma il saldo in rosso che ci vede al sestultimo posto, con oltre 100 milioni di euro di oneri. Quale futuro ci attende?
«L’autonomia differenziata sarà la ciliegina su una torta già indigesta per l’Abruzzo», riprende Paolucci, «perché metterà le Regioni in competizione, acuendo le difficoltà di quelle già in affanno come l’Abruzzo. Il rapporto della Fondazione Gimbe scrive a chiare lettere che il Sistema sanitario nazionale è a rischio, a causa di politiche sbagliate sia a livello governativo e con pesanti criticità a livello regionale che condurranno a ulteriori tagli come dimostra l’andamento della spesa sanitaria rispetto al Pil, per queste ragioni», afferma il bocconiano Paolucci, «avevamo proposto a livello nazionale un ancoraggio con la legge per il “Riordino della disciplina in materia sanitaria”, che mirava a un adeguamento della spesa sanitaria».
In sintesi, la proposta di legge prevedeva che l’importo delle risorse finanziarie destinate al servizio sanitario nazionale venisse determinato in misura non inferiore al 7,5 per cento del Pil dell’anno precedente. «Se ci avessero dato ascolto, l’indice di spesa non sarebbe all’attuale 6,2 per cento con la prospettiva di scendere ancora di più». Una sanità sempre più povera in una regione in cui chi è povero non può curarsi. Come certifica il rapporto Gimbe.
«Allarmi che lanciamo da mesi: dalla messa in rischio del diritto alla salute che proprio il sistema regionale dovrebbe assicurare, alla rinuncia alle cure per la crescente povertà delle famiglie, passando per la pesante incidenza che avrà su un quadro già così penalizzante per l’Abruzzo anche l’entrata in vigore dell’autonomia differenziata, nonché l’inefficacia di una governance alle prese con disavanzi delle Asl in pesante crescita (quasi 200 milioni di euro, ndr) e la mobilità passiva. Tutto questo suona come un fallimento», conclude Paolucci. (l.c.)