Incidenti stradali, 15 morti e 1.500 feriti ogni anno
In soli dodici mesi registrati in provincia di Pescara oltre mille sinistri L’associazione Familiari delle vittime: un calvario ottenere i risarcimenti
PESCARA. Mille e trentasette incidenti, quindici morti e mille e cinquecento feriti. Questi i freddi numeri, riferiti alla sola provincia di Pescara nel 2010 che raccontano l’eccidio di una guerra silenziosa, quella degli incidenti stradali, che mietono quotidianamente vittime e in tantissimi altri casi obbligano alla disabilità un numero cospicuo di persone.
Tra le cause di tanti sinistri sicuramente lo stato non sempre impeccabile delle strade provinciali e comunali, spesso deficitarie per l’asfalto delle carreggiate e per l’assenza totale o parziale della segnaletica orizzontale e verticale. Ma anche la responsabilità di terzi, in alcuni casi pirati della strada, che per imprudenza, colposità o imperizia, provocano incidenti e danni, spesso irreparabili. Nei casi più gravi, quelli di morte, superata la fase iniziale dell’estremo dolore per la perdita di un familiare o di un congiunto, parte la fase più complicata, quella di veder riconosciuta la responsabilità di chi, di quel decesso è stato “complice”. E il percorso non è certo in discesa. Si ha a che fare con assicurazioni, periti ed enti pubblici, che anche nei casi di colpevolezza, tirano fino all’ultimo grado di giudizio le cause pur di non pagare i risarcimenti ai familiari delle vittime.
Dal Duemila anche a Pescara si è costituita l’associazione italiana familiari e vittime della strada onlus, che come obiettivo ha quello di aiutare, sostenere e tutelare i familiari delle vittime della strada. A presiederla è Paolo D’Onofrio, che proprio dodici anni fa perse il figlio quindicenne in seguito a un incidente in bicicletta sulla Lungofino a Città Sant’Angelo.
«L’elevata incidentalità a danno degli utenti deboli», dice D’Onofrio in riferimento alle cause intentate contro gli enti locali, gestori delle strade, «è connotata da mala gestio amministrativa, superficialità e noncuranza del dolore e dei danni arrecati ai malcapitati utenti della strada. In effetti i costi della manutenzione ordinaria e straordinaria risulterebbero di gran lunga inferiori ai costi “riparatori”. Non si comprende, poi, la prassi del “mandare a resistere” in ambito giudiziale, seppure di fronte a inconfutabili prove di colpevolezza». D’Onofrio si riferisce proprio al caso di suo figlio Marco, che come ricorda «dopo dodici anni, nonostante le condanne penali e civili, gli enti in causa (Provincia di Pescara e Comune di Città Sant’Angelo, ndr) resistono a beneficio della società assicuratrice». Al momento ha ricevuto solo 84 mila euro, i reati penali sono ormai trascritti e per il risarcimento del danno si deve attendere la Cassazione dopo il ricorso dei due enti.
È un percorso lastricato di ostacoli quello porta alla cosiddetta “Industria sinistri spa”, come la definisce D’Onofrio: «Quando perdi un figlio l’ultima cosa alla quale pensi è quella di chiedere un risarcimento. Poi però quando ti accorgi che poteva non morire senza la negligenza altrui allora agisci. Ma nel 99 per cento dei casi non si ottiene il giusto risarcimento e molti familiari dopo un po’ sfiancate da udienze e rinvii si arrendono, lasciando perdere».
L’associazione Vittime della strada punta il dito anche contro il non rispetto del codice della strada, che prevede di reinvestire la metà dei proventi in attività legate alla sicurezza stradale e auspica la costituzione di un osservatorio regionale delle criticità. «Avere la mappa di dove avvengono gli incidenti, aiuterebbe a capire quali siano i punti più pericolosi delle strade e permetterebbe forse di ridurre il numero di morti».
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