PESCARA
Inganna l’Inps per 12 anni, dovrà risarcire
Il dipendente manipolava l’orologio marcatempo. Licenziato, è stato condannato dalla Corte dei conti a pagare 42mila euro
PESCARA. Per circa dodici anni, dal 2004 al 2015, un dipendente della Direzione provinciale Inps di Pescara è riuscito a manipolare a suo piacimento e, naturalmente, a suo vantaggio, l'orologio marcatempo.
Ma poi, inesorabile, è arrivato il licenziamento senza preavviso, impugnato davanti al giudice del lavoro.
Adesso, a carico del furbetto del cartellino, arriva un'altra tegola: la condanna dei giudici contabili della Corte dei Conti.
Dovrà restituire all'Inps 42mila euro, oltre agli interessi legali.
LE MANIPOLAZIONI. L'istruttoria è stata abbastanza complessa e lunga in quanto i giudici hanno preteso dall'Inps (ragionando anche sulle controdeduzioni difensive) precise informazioni tecniche circa l'approfondimento fatto dai loro funzionari sulla posizione di questo singolare dipendente: tutto per poter dare una quantificazione esatta del danno subito dalla struttura pubblica.
Per i giudici non ci sono dubbi sulla responsabilità del dipendente: «Sussistono», scrivono nella sentenza depositata il 6 settembre scorso, «le indebite manipolazioni della rilevazione delle presenze orarie».
ORARI A PIACIMENTO. Basta mettere a confronto le timbrature effettive rispetto a quelle manualmente inserite o modificate dal dipendente per capire «il carattere non episodico delle alterazioni e la loro dolosa preordinazione al vantaggio personale del dipendente: questi era solito entrare in ritardo, uscire in anticipo, assentarsi in pausa per la durata di ore, aggiustando poi le rilevazioni delle presenze a suo piacimento».
I giudici parlano di una «particolare e stupefacente coincidenza degli orari "ritoccati" in suo favore, che rendono del tutto inconsistenti le difese dell'interessato, incentrate sulla inverosimile e non seriamente credibile necessità di testare, continuamente, la funzionalità del sistema, effettuando plurime timbrature con il proprio badge».
LE CONTRADDIZIONI. Sul punto è stato infatti lui stesso a contraddirsi quando ha sostenuto che quelle doppie timbrature si verificavano ogni due, tre mesi per un ipotetico blocco del sistema di rilevazione delle presenze, mentre la ricostruzione dell'Inps parla di manipolazioni quasi quotidiane.
Alterazioni che per i giudici «non potevano avere altro scopo che quello, evidente oltre ogni ragionevole dubbio, di frodare l'amministrazione a vantaggio del dipendente, attribuendogli plus-orari inesistenti».
TIMBRATURE SELVAGGE. Il danno è costituito dall'inutile pagamento della retribuzione a fronte di prestazioni lavorative non rese e falsamente attestate; dalla fruizione di buoni pasto pur in mancanza dei requisiti contrattuali previsti; dalla necessità di dedicare risorse umane all’individuazione e all’elaborazione delle alterazioni perpetrate dal dipendente che i giudici hanno quantificato in cinquemila euro: il costo del disservizio causato all'Inps che ha dovuto appunto stornare del personale per ricostruire quei 12 anni di timbrature selvagge.
CHI CONTROLLAVA? L'unico interrogativo che resta in piedi è soltanto uno: ma come ha fatto l'Inps per 12 anni a non accorgersi di quelle manipolazioni che venivano effettuate su un sistema che normalmente viene controllato tutti i giorni da chi si occupa del personale?
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Ma poi, inesorabile, è arrivato il licenziamento senza preavviso, impugnato davanti al giudice del lavoro.
Adesso, a carico del furbetto del cartellino, arriva un'altra tegola: la condanna dei giudici contabili della Corte dei Conti.
Dovrà restituire all'Inps 42mila euro, oltre agli interessi legali.
LE MANIPOLAZIONI. L'istruttoria è stata abbastanza complessa e lunga in quanto i giudici hanno preteso dall'Inps (ragionando anche sulle controdeduzioni difensive) precise informazioni tecniche circa l'approfondimento fatto dai loro funzionari sulla posizione di questo singolare dipendente: tutto per poter dare una quantificazione esatta del danno subito dalla struttura pubblica.
Per i giudici non ci sono dubbi sulla responsabilità del dipendente: «Sussistono», scrivono nella sentenza depositata il 6 settembre scorso, «le indebite manipolazioni della rilevazione delle presenze orarie».
ORARI A PIACIMENTO. Basta mettere a confronto le timbrature effettive rispetto a quelle manualmente inserite o modificate dal dipendente per capire «il carattere non episodico delle alterazioni e la loro dolosa preordinazione al vantaggio personale del dipendente: questi era solito entrare in ritardo, uscire in anticipo, assentarsi in pausa per la durata di ore, aggiustando poi le rilevazioni delle presenze a suo piacimento».
I giudici parlano di una «particolare e stupefacente coincidenza degli orari "ritoccati" in suo favore, che rendono del tutto inconsistenti le difese dell'interessato, incentrate sulla inverosimile e non seriamente credibile necessità di testare, continuamente, la funzionalità del sistema, effettuando plurime timbrature con il proprio badge».
LE CONTRADDIZIONI. Sul punto è stato infatti lui stesso a contraddirsi quando ha sostenuto che quelle doppie timbrature si verificavano ogni due, tre mesi per un ipotetico blocco del sistema di rilevazione delle presenze, mentre la ricostruzione dell'Inps parla di manipolazioni quasi quotidiane.
Alterazioni che per i giudici «non potevano avere altro scopo che quello, evidente oltre ogni ragionevole dubbio, di frodare l'amministrazione a vantaggio del dipendente, attribuendogli plus-orari inesistenti».
TIMBRATURE SELVAGGE. Il danno è costituito dall'inutile pagamento della retribuzione a fronte di prestazioni lavorative non rese e falsamente attestate; dalla fruizione di buoni pasto pur in mancanza dei requisiti contrattuali previsti; dalla necessità di dedicare risorse umane all’individuazione e all’elaborazione delle alterazioni perpetrate dal dipendente che i giudici hanno quantificato in cinquemila euro: il costo del disservizio causato all'Inps che ha dovuto appunto stornare del personale per ricostruire quei 12 anni di timbrature selvagge.
CHI CONTROLLAVA? L'unico interrogativo che resta in piedi è soltanto uno: ma come ha fatto l'Inps per 12 anni a non accorgersi di quelle manipolazioni che venivano effettuate su un sistema che normalmente viene controllato tutti i giorni da chi si occupa del personale?
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