La scuola italiana ridotta a un disastro

14 Maggio 2009

Mario Giordano con un libro inchiesta fotografa lo stato di salute nelle classi

«Sono convinto che viviamo in Italia una grande emergenza, quella educativa. Solo che se c’è un incendio uno chiama i vigili del fuoco e l’emergenza si risolve. Questa è una grande emergenza di cui nessuno sembra interessarsi».

 Mario Giordano è un giornalista, attualmente dirige Il Giornale dopo essere stato alla guida del Tg di Italia Uno per sette anni, ma ha scritto già diversi libri-inchiesta. In quello da poco in libreria, «5 in condotta» (Mondadori, 214 pagine, 18 euro) affronta il problema sempre scottante della scuola. Un quadro disarmante, quello che traccia Giordano: l’ultimo libro della Bibbia? La pocalisse. Tiepolo? Il fratello di Mammolo. Vasco De Gama? Circoncise l’Africa. E l’Infinito di Leopardi? Leopardare. La scuola italiana è l’ultima nei rapporti Ocse sulla preparazione degli studenti, che in dieci anni nelle superiori ha promosso oltre nove milioni di alunni (tanti quanti la popolazione della Svezia) con lacune gravissime, che porta in quinta elementare un bambino su due con problemi di lettura e manda all’università giovani convinti che il Perù sia un biscotto al cioccolato.

 Quando è iniziato il declino della scuola italiana, secondo lei?
 
«Credo sia stato un lungo processo, iniziato 40 anni fa. Poi, naturalmente, so bene che ci sono e continuano a esserci professori eroici, che nonostante le difficoltà continuano a mantenerla in piedi con punte di eccellenza. Ma credo che la responsabilità maggiore in questi 40 anni è stata l’eliminazione della meritocrazia. Che poi ha portato a far sì che non ci siano più gli strumenti né per i professori né per chi deve gestire la scuola. Per esempio, i prof “fancazzisti” e gli eroi sono tutti trattati allo stesso modo. Nel 1959/60 alla maturità veniva bocciato il 26 per cento degli studenti, oggi meno del 2 per cento. Nel sud, in particolare in Sicilia, dove c’è una preparazione quattro volte inferiore all’Azerbaigian, ci sono tassi di bocciatura dello 0,9 per cento rispetto al 20 per cento di 40 anni fa. Non c’è più la competizione, che invece fa parte della scuola. La possibilità di essere bocciati è il modo in cui si diventa grandi.

 Non dando più ai prof la possibilità di applicare questi metodi si è portata la scuola a questo sfacelo. C’è poi una trasformazione della scuola da centro di cultura e formazione a immenso parco giochi, cito a memoria qualche corso: frisbee, kung fu, bonghi. Va tutto bene ma non quando tutto questo ha sostituito l’aritmetica e il latino. Una prof mi diceva: “Io leggevo l’Eneide in latino non capivano ma avevano l’ambizione di capirlo. Oggi non è più possibile”. Oggi, se Lucignolo dovesse portare Pinocchio nel Paese dei balocchi lo porterebbe a scuola».

 Quale la responsabilità delle famiglie?
 
«Una volta se uno tornava a scuola con un 4 le beccava. Oggi se un ragazzo riporta un 4 il genitore va a scuola a protestare. Per non parlare del Tar che io ho ribattezzato Tribunale asini rivoluzionari».

 I suoi figli dove li manda a scuola?
 
«Dopo questo libro li manderò all’estero (ride). I due più grandi fanno il liceo scientifico a Monza. Dopo le elementari e medie non statali. La terza va alle elementari sempre in una scuola non statale. L’ultima fa l’asilo. Ma il mio non è un atto di accusa verso le scuole statali. Ci sono delle sezioni, in alcune scuole, dove ci sono ottimi insegnanti e ottimi risultati. Il problema è purtroppo generale. Il mio libro vuole solo lanciare un allarme altrimenti tra 10, 15, 20 anni, quelli che avranno in mano il Paese saranno degli analfabeti».