DIECI GIORNATE IN PIETRA

Lettomanoppello e i suoi artigiani: è qui la piccola Carrara d’Abruzzo

Dal Medioevo gli scalpellini lettesi sono richiesti ovunque: da Collemaggio all’Aquila al duomo di Atri, ai palazzi di Lanciano fino a Istanbul per Santa Sofia. Oggi ultimo giorno della rassegna

LETTOMANOPPELLO. Il posto più celebre dove hanno messo le mani gli scalpellini di Lettomanoppello è probabilmente Santa Sofia a Istanbul. In Abruzzo è difficile trovare un territorio dove, negli ultimi secoli, non abbiano prestato la proprio opera gli artigiani lettesi.
“10 giornate in pietra” celebra fino a oggi una tradizione che alle pendici della Majella si è consolidata ed è cresciuta almeno dal Medioevo. Da quando cioè per portali, stipiti e chiavi di volta, decorazioni d’ogni genere di chiese, fontane ed edifici pubblici, ci si rivolgeva agli scalpellini lettesi. Una tradizione che oggi guarda al futuro con questo evento che rappresenta un momento di incontro tra artigiani locali e artisti internazionali. «La prima edizione è stata organizzata nel 1997», racconta Giuseppe Ferrante, che insieme a Stefano Faccini cura la direzione artistica, «si è subito affermata e ha mantenuto un costante carattere internazionale, con artisti arrivati da ogni parte d’Europa e del mondo: basti ricordare la presenza del sudcoreano Ming Yung Park o il giapponese Toshihiko Minamoto, senza dimenticare che non è mai mancata la presenza femminile».
La 14ª edizione ha dovuto fare i conti con qualche problema in più a livello organizzativo, a causa dell’emergenza Covid. «Con la collaborazione dell’architetto Paolo Di Biase abbiamo curato il piano di sicurezza, che ha prestato particolare attenzione alle misure sanitarie, dalle indicazioni agli spazi più ampi, ma tutto è andato bene», sottolinea Ferrante, «se negli ultimi anni qualche cosa è cambiata, è stata la promozione legata ai social, in particolare a Facebook e Instagram, che ci ha dato maggiore visibilità. Ma lo spirito della manifestazione è sempre quello: resta immutato il carattere di un evento pensato come simposio di scultura, ma anche di sensibilizzazione per promuovere un territorio meno conosciuto di quanto meriterebbe, e forse anche poco capito per le lavorazioni artigianali, la storia, la cultura».
Di scalpellini che lavorano la pietra della Majella non ne sono rimasti molti: «Una decina hanno ancora la loro bottega qui», fa notare Ferrante, «operano soprattutto con le ordinazioni di committenti stranieri». Con Ferrante, alla direzione artistica di “10 giornate in pietra” collabora Stefano Faccini, bergamasco trapiantato a Pescara, e presidente di un’importante associazione artistica in Puglia.
«Il modo di lavorare delle antiche maestranze, riletto da scalpellini locali, ha urgenza di rinnovamento», commenta l’artista di origine lombarda, «parlare di tradizione e antiche maestranze non ha senso senza una visione futura: la pietra deve avere una visione di impresa su un piano internazionale».
E questo è quanto si concretizza a Lettomanoppello in questi giorni, dove Faccini è arrivato «incuriosito dagli scalpellini che del linguaggio della scultura “parlano” il lato più decorativo. Questi sono dieci giorni intensi e carichi di emozioni: intrigano l’attenzione verso la “poesia” dell’evento e la manifestazione artistica nell’insieme, il lavoro con il territorio offre una crescita reciproca».
La tradizione legata al materiale che si trova su questo versante dell’Appennino ha fatto guadagnare al paese il nomignolo di “piccola Carrara d’Abruzzo”.
«La pietra della Majella è tenera e non friabile, ma quella che si trova sul versante di Lettomanoppello ha qualcosa in più», sottolinea Ferrante, «tante chiese medievali in Abruzzo hanno finiture realizzate da artigiani lettesi o istruiti da lettesi. Un esempio per ogni provincia della regione? Duomo di Atri, Santa Maria d’Arabona, palazzi civili a Lanciano e Chieti, oppure a Sulmona».
Ma nell’elenco ci sono anche Collemaggio e le 99 cannelle all’Aquila, i castelli di Celano, Bussi e Perano.
«Dal ’700 in poi si è consolidata una tradizione già forte in epoca medievale», conclude il direttore artistico, «e che ha portato gli scalpellini lettesi a lavorare ovunque: basti pensare che sono stati impiegati anche per rifinire elementi lapidei decorativi a Santa Sofia, utilizzando lì la pietra locale ma sfruttando le tecniche di lavorazione elaborate da noi».
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