Omicidio Pavone a Montesilvano, Gagliardi a processo con l’abbreviato
In carcere da 8 mesi, evita la Corte d’Assise e sceglie il rito alternativo a Pescara lontano dai riflettori
PESCARA. Ha una data il processo per Vincenzo Gagliardi, il dipendente delle Poste di via Volta accusato di aver sparato all’ingegnere Carlo Pavone morto il 16 novembre 2014. Gagliardi, assistito dall’avvocato Renzo Colantonio, ha chiesto e ottenuto il rito abbreviato la cui prima udienza è stata fissata il 10 marzo. Gagliardi, originario di Chieti e impiegato del centro meccanografico di via Volta, si trova in carcere dal 29 maggio 2014, da quando è stato arrestato dai carabinieri con l’accusa di aver sparato all’ingegnere Pavone in via De Gasperi a Montesilvano il 30 ottobre 2013. Ma la posizione dell’uomo si è aggravata dopo che Pavone, entrato in coma dalla notte dell’agguato, è morto a distanza di un anno facendo pendere sulla testa dell’uomo l’accusa di omicidio.
Dal giorno dell’arresto Gagliardi non ha mai lasciato il carcere, rimanendo impassibile anche quando è stato raggiunto dalla notizia della morte dell’ingegnere. «Non sono un delinquente, non ho sparato a Pavone», si è sempre difeso l’uomo che, con il rito abbreviato, ha evitato che il processo finisse in Corte d’Assise di fronte a una giuria popolare che, probabilmente, avrebbe mal digerito il legame sentimentale tra Gagliardi e la moglie di Pavone, Raffaella D’Este (estranea all’inchiesta), e la sorte dei due bambini rimasti senza padre per un delitto con un movente che, come scrisse il giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza, era di «natura passionale».
Pavone è stato raggiunto da un colpo di arma da fuoco la sera del 30 ottobre mentre era sceso a gettare la spazzatura di fronte la sua casa di via De Gasperi a Montesilvano. Ma per molti mesi quel delitto era sembrato un giallo fin quando i carabinieri del Nucleo investigativo di Pescara diretti dal capitano Eugenio Stangarone e coordinati dal pm Anna Rita Mantini, non hanno trovato la chiave: a sparare, secondo l’accusa, sarebbe stato Gagliardi, l’impiegato delle Poste che aveva una relazione con la moglie della vittima. Così, il 28 maggio del 2014, l’uomo è stato arrestato e portato nel carcere che non ha mai lasciato.
Durante le indagini sono state trovate, anche grazie alla collaborazione di un amico d’infanzia di Pavone e della moglie di Gagliardi, un paio di scarpe e un guanto di lattice su cui, dopo gli accertamenti, sono state trovate tracce di polvere da sparo. Sono questi gli elementi che hanno fatto concludere il giudice per le indagini preliminari per la premeditazione. D’Este, che lavora alle Poste di via Di Vittorio a Montesilvano, nel processo figurerà come parte offesa proprio perché madre dei due figli che hanno perso il papà.
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