Otto anni senza Jennifer, uccisa dall’ex fidanzato. Il fratello: “Perdono? Mai”
La sua storia chiude la docuserie di Sky Crime che è andata in onda ieri sera. Jonathan Sterlecchini: “Un modo per mettere in guardia altre donne”
PESCARA. L’ha aiutata a caricare la lavatrice sul furgone. Ha salutato la madre che aveva accompagnato la figlia da lui, a riprendere le ultime cose di quella convivenza finita e poi, quando lei è rientrata nel terzo e ultimo viaggio tra il furgone e la villetta, lui ha chiuso a chiave la porta e l’ha uccisa con 17 coltellate. È finita così, il 2 dicembre del 2016 in via Acquatorbida, la vita di Jennifer Sterlecchini. Aveva 26 anni, faceva la commessa in un negozio di scarpe in centro e con i soldi guadagnati progettava di trasferirsi in Spagna.
Una storia che la città non ha mai dimenticato anche grazie alle battaglie che la mamma e il fratello di Jennifer hanno portato avanti in questi otto anni, a cominciare dalle 50mila firme raccolte per contribuire con gli altri familiari delle vittime di delitti efferati a far diventare legge, com’è successo ad aprile del 2019, il fatto che il rito abbreviato non si applica ai reati che prevedono la pena dell'ergastolo: niente sconti di pena a chi ha ucciso.
Ma quello di Jonathan Sterlecchini e Fabiola Bacci è un impegno quotidiano per bloccare la mattanza che quest’anno, e il numero si ferma al 17 novembre, conta già 98 donne uccise. Per questo hanno accettato di partecipare alla docuserie di Sky Crime “Una ogni 72 ore” che ieri sera ha trasmesso, ultima di quattro donne uccise, la storia di Jennifer. Non solo la sua morte, per cui l’ex fidanzato Davide Troilo è stato condannato a 30 anni anche in Cassazione, ma la sua vita.
Jonathan, cosa vi ha convinto ad accettare, a ripercorrere tutto quel dolore?
«Il primo obiettivo è sempre quello di ricordare mia sorella, ma anche di proseguire con le battaglie che abbiamo fatto in questi anni e che alla fine qualche risultato l’hanno portato».
Si riferisce alla raccolta firme?
«Sì, grazie anche alle nostre 50mila firme portate in Parlamento è nata la legge che bypassa il rito abbreviato per i crimini efferati e i risultati si sono visti anche nelle ultime vicende. Penso al processo di Impagnatiello per l’omicidio di Giulia Tramontano: è durato meno di un anno e si è concluso con l’ergastolo».
Restando alla cronaca, il papà di Giulia Cecchettin, anche lei uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, ha detto di non escludere nel tempo il perdono. Lei che dice?
«Assolutamente no. È una cosa troppo grande, e poi da parte sua, da parte dei suoi genitori, della sua famiglia, non ci sono state mai parole vere di avvicinamento. Quindi no, non perdono».
Che spazio ha oggi Troilo nella sua vita, lo ha cancellato?
«Sarei un bugiardo a dire di sì. Invece no, ci penso, giro nei posti e mi vengono in mente tante cose di lui. Non può essere che non esiste, che lo cancello».
Questo sarà l’ottavo Natale senza Jennifer, cosa le piaceva ricevere?
«Non era di grosse pretese, Jennifer era attaccatissima alla famiglia, quando abbiamo avuto dei momenti difficili lei soffriva forse molto più di me, ma la nostra forza è stata stare sempre uniti, insieme».
Che messaggio vorreste che passasse, lei e sua madre, a chi vedrà la storia di Jennifer su Sky?
«Forse mettere in guardia le persone vicino alle donne vittime di violenza. Magari un’amica se ne accorge prima di certi segnali che invece chi è dentro la storia non coglie. Sempre nel limite del possibile, perché poi entrare in certe dinamiche è difficile. Ma se un’amica te lo ripete cento volte, forse qualcosa si accende».
Con Jennifer com’è andata?
«Lei non faceva trapelare niente, forse mia madre si era allertata un po’ di più, e soprattutto quella mattina».
Perché?
«Lui era troppo tranquillo, troppo accondiscendente su tutto. La sera prima aveva inviato a mia sorella dei messaggi possessivi e invece poi la mattina dopo era tutto a posto. Troppo. Aveva premeditato tutto, com’è stato dimostrato. L’ha lasciata portare le cose avanti e indietro dalla casa al furgone e poi, al terzo viaggio, con la scusa del tablet ha chiuso Jennifer dentro casa e l’ha uccisa. Con mia madre che da dietro la porta sentiva le urla di mia sorella “mamma mi sta ammazzando” senza poter fare nulla. E poi si è fatto i graffi, si è steso per terra e quando sono entrati i carabinieri ha detto che c’era stata una colluttazione».
Invece ha ucciso Jennifer con 17 coltellate. Ma lei l’aveva denunciato prima?
«No. L’aveva già lasciato una volta, poi dopo un periodo lui era tornato, diceva che stava male, che aveva bisogno di lei. Un comportamento che in queste storie sembra da manuale. E lei era tornata. Ma era diventato sempre più possessivo, la controllava, “dove vai, perché vai lì, vengo anche io” . Col senno di poi erano tutti segnali, ma quando stai dentro la storia non ti rendi conto, non pensi che possa scaturire quello che poi si sente sempre più spesso. Anche per questo io e mia madre abbiamo voluto raccontarlo ancora, mettendoci la faccia, mostrando come possono andare a finire certe situazioni. Non va sottovalutato nulla. Anche lui all’apparenza era educato e tranquillo. E invece ecco, dopo otto anni siamo ancora lì: quante donne sono state ancora uccise?».
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