Pescara, il vigile licenziato resta senza casa e occupa il casotto
Sorpreso dalla Finanza a pescare durante l'orario di lavoro: «Adesso non ho più i soldi neanche per pagare le bollette. Ma dovranno riassumermi, e aiuterò chi non ha un lavoro»
PESCARA. L’hanno licenziato in tronco, dopo che la Finanza l’ha pedinato e fotografato mentre, durante l’orario di lavoro, andava a pesca e a giocare alle slot machine.
Ma dopo il lavoro, ora ha perso anche la casa Pasquale Solari, il maresciallo della polizia municipale addetto ai parchi finito agli arresti domiciliari lo scorso luglio per truffa pluriaggravata. “Furbetto del cartellino” che dopo due mesi di clausura forzata in casa, a ottobre aveva ottenuto di uscire, ma non da Francavilla. Con la misura dell’obbligo di dimora che l’ha confinato nel comune di residenza, al confine con Pescara, fino a qualche tempo fa.
Ma adesso che anche quell’obbligo è venuto meno, Solari è con la povertà che deve fare i conti. «Vivo come un barbone. Senza stipendio ho dovuto lasciare casa perché non ho i soldi per l’affitto e per le bollette. Mi sono ritrovato senza luce, senz’acqua, senza gas. E me ne sono dovuto andare».
È così che da circa un mese il vigile vive in un casotto sulla spiaggia libera del Comune, proprio al confine con Francavilla. «L’ho occupato e resto qui. Una bombola di gas per cucinare e l’aiuto di qualche amico e delle mie sorelle per mangiare». Lo racconta amareggiato, ma con la fierezza di chi è sicuro che le cose cambieranno. Di chi è sicuro, come dice, «che in Comune mi dovranno riassumere. E oltre agli arretrati mi dovranno ridare pure i danni». Con il berretto della polizia municipale ancora in testa («non l’ho restituito perché l’ho pagato con i miei soldi, 3,50 euro al comando») Solari racconta le sue giornate seduto fuori, mentre gli operai sistemano gli arredi della spiaggia in attesa dei bagnanti. Che dentro al casotto, quest’anno, troveranno il vigile che lì dentro mangia, dorme e si lava. Che lì dentro, tre metri per tre, ci vive.
«Se do fastidio dovranno tirarmi fuori con la forza, li aspetto. Mi hanno distrutto la vita, mia moglie se n’è andata; la casa l’ho dovuta lasciare, non riesco neanche più comprare tutte le medicine che usavo per il diabete. Dove devo andare? Fino a quando posso resto. Poi nel caso, andrò a sfondare qualche appartamento vuoto».
Una fine che non si aspettava il vigile urbano accusato di aver lavorato facendo il comodo suo, senza divisa, in ciabatte, in servizio come e quando decideva lui. «Ma», ripete ancora una volta, «al comando lo sapevano tutti. Ero libero di muovermi come volevo perché non svolgevo solo un turno, ma gli coprivo anche il servizio del pomeriggio. Ero disponibile anche la domenica, anche nei festivi, anche se non mi competevano. Conoscevo tutti, e tutti i frequentatori del parco d’Avalos sapevano come rintracciarmi, a chi fare riferimento. Ma tanto verrà alla luce pure questo, perché dopo la denuncia e dopo l’arresto», va avanti, «ci sono le testimonianze di tanti miei ex colleghi, di tanti superiori che dicono proprio questo. Più di 500 pagine in cui c’è pure un superiore che testimonia di avermi detto lui stesso di gestirmi l’incarico come volevo. Quindi, quale furbetto?»
Si sfoga, «ma senza rabbia», dice. «La rabbia ce l’avevo prima», spiega, «ora ho capito che posso vivere degnamente con le mie braccia, perché per mangiare devo pescare qualcosa, e per raccimolare qualche spicciolo faccio piccoli lavori di ristrutturazione su barche e mosconi. A 62 anni, cerco di andare avanti così». Dopo la prima udienza a Chieti, la prossima è stata fissata il 22 luglio. Ancora a Chieti nonostante l’avvocato Massimo Solari, che assiste lo zio, abbia eccepito la competenza territoriale. Ma va avanti anche il ricorso al licenziamento presentato dall’altro legale, l’avvocato Pasquale Provenzano. «Io so solo che voglio giustizia», ribadisce l’ex vigile, «sono sicuro di non aver commesso il fatto e rivoglio il mio lavoro. Un licenziamento in tronco, senza una sentenza, non si è mai visto. Senza parlare delle indagini partite con un esposto anonimo. Ma non mi abbatto. Aspetto. Alla fine la giustizia arriverà. E con i soldi che prenderò aiuterò chi sta senza un lavoro. Parola mia». (s.d.l.)
Ma dopo il lavoro, ora ha perso anche la casa Pasquale Solari, il maresciallo della polizia municipale addetto ai parchi finito agli arresti domiciliari lo scorso luglio per truffa pluriaggravata. “Furbetto del cartellino” che dopo due mesi di clausura forzata in casa, a ottobre aveva ottenuto di uscire, ma non da Francavilla. Con la misura dell’obbligo di dimora che l’ha confinato nel comune di residenza, al confine con Pescara, fino a qualche tempo fa.
Ma adesso che anche quell’obbligo è venuto meno, Solari è con la povertà che deve fare i conti. «Vivo come un barbone. Senza stipendio ho dovuto lasciare casa perché non ho i soldi per l’affitto e per le bollette. Mi sono ritrovato senza luce, senz’acqua, senza gas. E me ne sono dovuto andare».
È così che da circa un mese il vigile vive in un casotto sulla spiaggia libera del Comune, proprio al confine con Francavilla. «L’ho occupato e resto qui. Una bombola di gas per cucinare e l’aiuto di qualche amico e delle mie sorelle per mangiare». Lo racconta amareggiato, ma con la fierezza di chi è sicuro che le cose cambieranno. Di chi è sicuro, come dice, «che in Comune mi dovranno riassumere. E oltre agli arretrati mi dovranno ridare pure i danni». Con il berretto della polizia municipale ancora in testa («non l’ho restituito perché l’ho pagato con i miei soldi, 3,50 euro al comando») Solari racconta le sue giornate seduto fuori, mentre gli operai sistemano gli arredi della spiaggia in attesa dei bagnanti. Che dentro al casotto, quest’anno, troveranno il vigile che lì dentro mangia, dorme e si lava. Che lì dentro, tre metri per tre, ci vive.
«Se do fastidio dovranno tirarmi fuori con la forza, li aspetto. Mi hanno distrutto la vita, mia moglie se n’è andata; la casa l’ho dovuta lasciare, non riesco neanche più comprare tutte le medicine che usavo per il diabete. Dove devo andare? Fino a quando posso resto. Poi nel caso, andrò a sfondare qualche appartamento vuoto».
Una fine che non si aspettava il vigile urbano accusato di aver lavorato facendo il comodo suo, senza divisa, in ciabatte, in servizio come e quando decideva lui. «Ma», ripete ancora una volta, «al comando lo sapevano tutti. Ero libero di muovermi come volevo perché non svolgevo solo un turno, ma gli coprivo anche il servizio del pomeriggio. Ero disponibile anche la domenica, anche nei festivi, anche se non mi competevano. Conoscevo tutti, e tutti i frequentatori del parco d’Avalos sapevano come rintracciarmi, a chi fare riferimento. Ma tanto verrà alla luce pure questo, perché dopo la denuncia e dopo l’arresto», va avanti, «ci sono le testimonianze di tanti miei ex colleghi, di tanti superiori che dicono proprio questo. Più di 500 pagine in cui c’è pure un superiore che testimonia di avermi detto lui stesso di gestirmi l’incarico come volevo. Quindi, quale furbetto?»
Si sfoga, «ma senza rabbia», dice. «La rabbia ce l’avevo prima», spiega, «ora ho capito che posso vivere degnamente con le mie braccia, perché per mangiare devo pescare qualcosa, e per raccimolare qualche spicciolo faccio piccoli lavori di ristrutturazione su barche e mosconi. A 62 anni, cerco di andare avanti così». Dopo la prima udienza a Chieti, la prossima è stata fissata il 22 luglio. Ancora a Chieti nonostante l’avvocato Massimo Solari, che assiste lo zio, abbia eccepito la competenza territoriale. Ma va avanti anche il ricorso al licenziamento presentato dall’altro legale, l’avvocato Pasquale Provenzano. «Io so solo che voglio giustizia», ribadisce l’ex vigile, «sono sicuro di non aver commesso il fatto e rivoglio il mio lavoro. Un licenziamento in tronco, senza una sentenza, non si è mai visto. Senza parlare delle indagini partite con un esposto anonimo. Ma non mi abbatto. Aspetto. Alla fine la giustizia arriverà. E con i soldi che prenderò aiuterò chi sta senza un lavoro. Parola mia». (s.d.l.)