Province, la Regione sceglie di non decidere
La maggioranza rimanda la palla al governo: ma se accorpa qualche ente siamo pronti a ricorrere alla Corte Costituzionale
L’AQUILA. Una, due, tre Province? Oppure zero, salvo poi prevedere sette ambiti territoriali con altre tre sub-ambiti, nei quali eventualmente ridistribuire i servizi? No. Niente. Se qualcuno si aspettava una risposta compatta dall’Abruzzo, entro la scadenza delle ore 24 di ieri, sul numero delle Province da mantenere, si deve ricredere. Perché il consiglio regionale dopo una maratona di sei ore, riunioni, dibattiti e scontri accesi in aula e davanti a uno stuolo di sindaci teramani, rappresentanti della provincia di Chieti e altri residenti a protestare fuori dai cancelli dell’Emiciclo, ha deciso di non decidere e di ripassare la palla al governo. Con il voto della maggioranza e parecchi mal di pancia (tre astenuti nelle sua fila, Tagliente, Giuliante e De Matteis), e con lo strano ma comprensibile affiancamento dell’Idv (era sua la proposta originaria), è passato un documento definito «forte contro il governo» dal presidente della giunta Gianni Chiodi e che non prevede alcuna proposta di riordino delle Province abruzzesi.
Anzi. È l’Abruzzo che invita Monti a darsi una mossa a predisporre un disegno di legge costituzionale per l’abolizione di tutte le Province. Chiodi riceve anche il mandato di proporre ricorso alla Corte Costituzionale nel caso in cui il governo proponesse nel frattempo qualunque proposta di accorpamento delle Province.
Tutti i numeri fatti quindi in questi giorni e l’indicazione delle due Province L’Aquila-Teramo (capoluogo L’Aquila) e Pescara-Chieti (capoluogo Pescara) espressa dal Cal (Consiglio delle autonomie locali) sono saltati. Tranne lo zero. Infatti soltanto se il governo decidesse di azzerare tutte le Province, l’Abruzzo non avvierebbe il ricorso che hanno già fatto altre sette Regioni. Con un unico particolare: che alcune di queste sette Regioni non hanno neanche avuto il parere del Cal, mentre l’Abruzzo sì. Il governo, come ha fatto già intendere, può ripartire da qui e prevedere dunque le 2 Province con l’insediamento dei commissari a giugno.
Una giornata quella di ieri che si è aperta con il disegno di legge che sospende le norme che finanziano i contributi a favore dei disabili psicofisici (terapie Doman), l’introduzione della soglia massima della quota di compartecipazione alle prestazioni (i ticket) e la possibilità per le strutture sanitarie accreditate di spostare parte del loro budget verso strutture autorizzate della stessa Asl, e che si è conclusa dopo le 21 con la decisione-non-decisione sulle Province davanti ad un pubblico sorpreso e arrabbiato.
Erano state formalizzate altre proposte, respinte dal Consiglio: l’ipotesi a 3 (L’Aquila, Chieti, Pescara-Teramo) presentata da Antonio Menna (Udc), quella a una (L’Aquila) di Berardo Rabbuffo (Fli) e quella avanzata da Maurizio Acerbo (Prc), Antonio Saia (Pdci) e Franco Caramanico (Sel) per una diversa attribuzione delle funzioni alle Province e l’abolizione di tutti gli enti intermedi strumentali. L’Idv si è trovata da sola al fianco del Pdl «con la consapevolezza», ha detto il capogruppo Carlo Costantini, «che il passato non esiste più». «La maggioranza dimostra finalmente di avere capacità di innovare», aggiunge sottolineando come sia stata la maggioranza ad appoggiare la proposta-zero dell’Idv. E il Pd?
In mattinata si pensava che la commissione potesse partorire una proposta comune. Alla fine le distanze sono state incolmabili. «Abbiamo posto sul tavolo», ricorda il capogruppo Camillo D’Alessandro, «l’alternativa della Provincia unica, ma il Pdl ha detto no, poi ci hanno proposto tre province in alternativa allo zero, salvo rimangiarsi la parola. E’ prevalsa la difesa di ciò che c’è, hanno fatto come Ponzio Pilato», conclude. «Chiediamo al governo di mettere mano all’architettura istituzionale di tutto il Paese», è la replica di Chiodi. Che ora aspetta la mossa di Monti.
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