Pescara

Terme di Caramanico, il piano (fallito) di aiuti pubblici: svelata l’ultima manovra dei dirigenti

24 Aprile 2025

Ecco il verbale di un vertice al ministero dello Sviluppo economico nel 2019: i Masci pressavano la Regione per l’accreditamento sanitario da 4,3 milioni. Ma i debiti erano troppo elevati

PESCARA. Era il 3 aprile del 2019, un mercoledì: durante un vertice al ministero dello Sviluppo economico, a Roma, l’allora numero uno della Società delle terme di Caramanico, Franco Masci, accompagnato dal suo braccio destro, Filippo Masci, in qualità di consulente, tentava un piano disperato per ripianare un buco che, in quel periodo, misurava già 21 milioni di euro di profondità. Una manovra che si fondava sugli aiuti dichiarati della Regione Abruzzo sotto forma di «budget di riabilitazione» da 4,3 milioni di euro e la «concessione» di altri 900mila euro. Era l’unico modo per arrivare a «un piano di ristrutturazione del debito accettabile» e sventare un fallimento che avrebbe fatto clamore. Ma, diceva Masci al Mise, «i tempi di intervento sono brevi».

PIANO FALLITO Quell’operazione per rifinanziare le perdite di un ente privato con i soldi pubblici non è andata in porto e le terme, due anni dopo, il 14 ottobre del 2021, sono finite davvero in fallimento: debiti per 25 milioni di euro, 4 milioni in più rispetto alla riunione romana. Un’esposizione senza precedenti, soprattutto verso le banche (circa 15 milioni) e poi tasse e fornitori non pagati. Per quel crac, a distanza di 4 anni dalla dichiarazione e con le terme ormai chiuse dal 2020, ci sono 5 indagati: il primo è proprio Franco Masci, considerato dalla Procura di Pescara il principale responsabile del dissesto delle terme; e poi, i componenti del cda di quegli anni, Raffaella e Annamaria Masci, Alessandro Bocchetti ed Enzo Vaccarella. Questo il ventaglio delle accuse: bancarotta fraudolenta da 25 milioni, bancarotta semplice e mancato versamento delle ritenute assistenziali e previdenziali in favore dell'Inps per circa 570mila euro, dal 2018 (reato contestato a tutti tranne che a Vaccarella) al 2020 (a carico solo di Franco Masci). 

«DIECI ANNI DI PERDITE» Quel giorno di sei anni fa, con le terme già in liquidazione e una crisi irreversibile, Masci metteva subito le carte in tavola: «La società, come sopra rappresentata, ha immediatamente fatto sapere che negli ultimi 10 anni ha subito continue perdite economiche, seguite dal consolidarsi di un indebitamento finanziario verso determinati istituti di credito e il fisco, con una conseguente forte contrazione della domanda dei servizi termali». Al Mise, Masci scaricava così le responsabilità dei conti in rosso: «Il mancato rinnovo della concessione di un budget sulla riabilitazione termale ha contribuito in maniera determinante a causare le perdite della società». Se le terme annaspavano nei debiti, diceva Masci, sarebbe stato per colpa della Regione che aveva rifiutato l’accreditamento. Ma, in un mare di debiti, c’era anche l’hotel 4 stelle La Reserve con centro benessere: «La mancata realizzazione di infrastrutture, nello specifico della seggiovia (più volte richiesta all’Ente Parco) per collegare il comune di Caramanico con la vicina stazione sciistica avrebbe senz’altro incrementato l’affluenza di turisti nel territorio e quindi anche dei fruitori delle terme», recita il verbale delle doglianze. 

IN LIQUIDAZIONE Il documento dell’incontro prosegue: «Il protrarsi delle difficoltà economiche della Società e la mancanza di investitori disposti a ristrutturare il debito finanziario della società (21 milioni di euro tra banche e fisco) ha determinato inevitabilmente la richiesta di liquidazione volontaria». 

MESSAGGIO ALLA REGIONE Di fronte a questo scenario da fallimento, Masci voleva andare avanti e salvare i 183 posti di lavoro ma il suo piano era quasi un “ricatto” alla Regione a intervenire: «La società ha intenzione di presentare un piano di rientro del debito nei confronti dei creditori della Società delle terme. Il Piano presuppone il necessario accoglimento delle istanze sopra menzionate in tempi molto brevi e l’apertura della stagione termale che permetterà alla società di generare l’utile necessario al ripianamento del debito. Il piano inoltre si regge sia sull’utile derivante dalle cure termali sia e soprattutto su quello derivante dalle attività di cure riabilitative». E Masci era stato ancora più chiaro: «Senza i budget di riabilitazione che riporti in utile la società difficilmente potrà essere presentato un Piano di ristrutturazione del debito accettabile il quale prevedrà anche la possibilità di cedere gli asset aziendali ai potenziali investitori viste anche le diverse manifestazioni di interesse pervenute negli ultimi mesi». 

CRAC, CRISI, INCHIESTA Due anni dopo queste parole, una sequenza inarrestabile: il fallimento, la conseguente chiusura delle terme, che ormai si trascina da cinque anni, la crisi di Caramanico con 5 hotel e 25 negozi chiusi e adesso la richiesta di processo firmata dal pm Andrea Papalia. Secondo l’accusa, «allo scopo di arrecare pregiudizio ai creditori e di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto», Masci e il resto del cda avrebbero «cagionato con dolo o comunque per effetto di operazioni dolose il fallimento della società, anche incrementandone progressivamente nel tempo, almeno fino al 2015 e in maniera notevole, l’esposizione debitoria per debiti erariali e previdenziali per un importo complessivo di 8 milioni di euro, mediante reiterata e sistematica omissione dei relativi versamenti». 

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