Travaglio all’attacco: «Attenti ai giornaloni, spacciano fake news»

14 Febbraio 2025

L’intervista al giornalista che domenica sarà al teatro Massimo di Pescara per il suo spettacolo “I migliori danni della nostra vita”, sold out al botteghino in tutta Italia

PESCARA. «Non sono i social ma i media tradizionali i veri spacciatori di fake news. Fanno molto più male. Nei social le fake news sono sempre di segno opposto. Si annullano. Quelle della grande stampa, invece, che è autorevole e unidirezionale, orientano l’opinione pubblica senza forma di smentita o fact checking. Secondo lei fa più male la bugia raccontata da testate storiche e illustri o da un sito un social che non ha autorevolezza?».

È il solito Marco Travaglio al vetriolo, ma nel mirino questa volta c’è la sua materia prima, il suo terreno di battaglia: i media tradizionali. Gli stessi da cui ha pazientemente ritagliato con le forbici gli articoli che compongono il suo enorme archivio. Secondo il direttore del Fatto Quotidiano anche loro sono responsabili della “postdemocrazia” in cui ci troviamo oggi.

Travaglio, che significa post-democrazia?

«La post-democrazia è rappresentata da tutti i tentativi di ribaltare la volontà popolare con operazioni di ingegneria ben studiate. Nel 2013 gli italiani hanno detto: vogliamo cambiare tutto, votiamo Movimento 5 stelle. E il risultato? Napolitano si fa rieleggere per mandare i 5 Stelle all’opposizione e al governo ci va chi aveva perso le elezioni».

E i media tradizionali che ruolo hanno avuto?

«Se avessero denunciato i golpe bianchi patrocinati dal Quirinale sotto Napolitano e sotto Mattarella con la stessa foga con cui hanno denunciato il tentativo becero e naif dell’assalto trumpiano a Capitol Hill, probabilmente gli italiani avrebbero capito quello che stava succedendo. E invece i media tradizionali sono stati i guardaspalle dei poteri costituiti».

Ora al governo c’è un underdog.

«Meloni è underdog ma fifona. Ha capito dalle esperienze dei governi Conte I e II che l’unico modo per non farsi buttare giù era mettersi al sicuro con le lobby, le tecnocrazie, le cancellerie europee e gli Usa».

Si spieghi meglio.

«Deve dare delle prove d’amore tali per cui non può permettersi nemmeno una tassettina sugli extra profitti bancari. Altrimenti telefona il gruppo Fininvest e le fa capire chi è l’azionista di maggioranza del suo alleato Forza Italia. Ha preferito tirare a campare che provare a cambiare qualcosa».

Meloni dice che stanno facendo la storia.

«Ma se non ci ha nemmeno provato a cambiare le cose. Di solito la restaurazione avviene dopo le elezioni: questo è uno dei pochi casi in cui è avvenuta prima».

E Draghi cosa è stato?

«Un’operazione di gattopardismo. Draghi è un restauratore chiamato per cancellare tutto ciò di nuovo e di buono che era stato fatto nei 2 anni e mezzo precedenti dai governi Conte».

Ma i 5 Stelle hanno sostenuto Draghi.

«Quello è stato il suicidio politico di Grillo. Ne è responsabile. Grazie al voto dei 5 stelle Draghi ha potuto cancellare quanto di buono era stato fatto dai governi a trazione pentastellata. Un caso clamoroso di sindrome di Stoccolma».

Lei ha sostenuto Grillo per anni: cosa è cambiato?

«La parte legalitaria, ambientalista, e sociale del suo programma io la propugno da 30 anni prima che arrivasse lui. Se poi nel 2009 vedo un movimento che trasforma quello che penso in un programma politico, lo applaudo».

Allora riformulo: Grillo si era avvicinato alle sue idee. Poi che è successo?

«È arrivato a dire che Draghi e Cingolani erano due grillini. Io non so spiegarmi una tale perdita di lucidità: è come se un cristiano vedesse l’Anticristo e lo scambiasse per Cristo».

E la Schlein? Anche lei è stata eletta per un cambiamento.

«Rischia di finire come Renzi, Salvini e Meloni: votati per cambiare le cose, capiscono che non possono farlo e allora cambiano se stessi e rimangono».

Schlein è pacifista e ambientalista. Con lei il Pd si è spostato più a sinistra?

«A me il Pd sembra un partito guerrafondaio che sulle armi vota sempre insieme alle destre. Anzi, ora che Trump trascinerà Meloni e le destre verso i negoziati per l’Ucraina, il Pd rischia di rimanere l’unico a favore della guerra».

Intanto il Pd continua a crescere.

«Fino ad ora la storia e l’immagine di Schlein hanno salvato le apparenze, ma è evidente che quelli che chiedevano il cambiamento prima o poi le chiederanno il conto. Dov’è la lotta ai cacicchi del partito? Sono tutti là, al settimo, ottavo o decimo mandato».

Se lei è immobile, perché i 5 Stelle rimangono dietro?

«Perché si sono suicidati quando sono entrati nel governo Draghi. Mi meraviglio che siano al 12% nei sondaggi e al 15,5% nelle ultime politiche. Merito di Conte».

Perché?

«Se non ci fosse Conte non avrebbero nemmeno mezzo voto. Ha ancora credibilità per le cose che ha fatto come Presidente del Consiglio. Il problema è recuperare quegli elettori che si sono schifati vedendoli in quella compagnia».

Allora è vero che ha una passione per Conte.

«No. Semmai per le cose che ha fatto e che continua a proporre. Il governo Conte I è stato il più innovativo degli ultimi 30 anni. In 6 mesi ha fatto reddito, decreto dignità, taglio vitalizi e parlamentari, spazzacorrotti e blocco prescrizione. Se avesse fatto il contrario di quello che ha fatto, sarei un suo avversario feroce. Mi ritengo politicamente laico».

Si sente anti meloniano?

«A me non frega niente di destra o sinistra, mi interessa quello che fanno. Quando la Meloni voleva abolire le regioni nel 2014 l’avrei baciata. Ora che vuole fare l’autonomia differenziata, le faccio una pernacchia».

Tomaso Montanari dice che questo governo è composto da fascisti camuffati. È’ d’accordo?

«No. Per me sono dei berlusconiani anche un po’ sfigati. Almeno Berlusconi due o tre di un certo livello li aveva tirati fuori. Ai tempi c’era Tremonti, ora quella mozzarella di Giorgetti. Se sono fascisti vorrei capire come possono essere così filoamericani, filoisraeliani, antisociali e anticapitalisti. Le dico una cosa».

L’ascolto.

«L’altro giorno ho letto sui giornali che questo è il primo Festival di Sanremo dell’era sovranista. Ma che fesserie dicono? Siamo appiccicati agli americani. Dato che non capiscono la realtà, cercano di scomunicarla con paroloni astratti: populismo, fascismo».

Allora parliamo del suo giornale. È il direttore del Fatto da 10 anni: sono tanti. Durerà come Scalfari?

«Sa, io non ho mai pensato di fare il direttore. Quando abbiamo fondato il Fatto insieme a Padellaro e pochi altri amici, io avevo un contratto co.co.pro. Volevo solamente scrivere».

E poi cosa è successo?

«Sono stato costretto da Padellaro perché lui non voleva più fare il direttore. Ho provato ad allontanare in tutti i modi questo amaro calice, ma alla fine ho dovuto accettare. E imparare un mestiere che non sapevo fare».

Le piace il suo lavoro?

«Mi diverto. E fino a quando mi diverto, continuo. Credo che scrivere sia l'unica cosa che so fare bene. Poi, certo, anche il teatro mi piace. Lo trovo utile per un giornalista».

Come l’aiuta?

«A teatro puoi annusare il clima politico e quali sono i temi che interessano di più. E questo aiuta chi deve fare un giornale. Fino ad ora ci siamo salvati dalla crisi dell’editoria perché probabilmente il nostro è un giornale fatto più per i lettori, mentre gli altri sono fatti da giornalisti per altri giornalisti».

I risultati sul palco le danno ragione: “I migliori danni della nostra vita” è andato ovunque sold out. Anche domenica al Teatro Massimo di Pescara.

«C’è grande entusiasmo da parte del pubblico. E da un mesetto a questa parte il clima si è fatto ancora più caloroso».

E il pubblico abruzzese?

«Prima l’Abruzzo lo conoscevo poco. Tra presentazioni e recital, però, l’ho battuto in lungo e in largo. Ora qui ci torno sempre volentieri: gli spettatori sono particolarmente affettuosi con me».

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