Ammazzò il vicino di casa: “Lite iniziata per un materasso”
Il marocchino 44enne accusato del delitto: respinta la richiesta di fare una seconda perizia sul coltello. Il giudice ha accolto solo il rito abbreviato: l’8 aprile la sentenza. E spunta il verbale di interrogatorio
PESCARA. Si conoscerà il prossimo 8 aprile il destino del marocchino Brahim Dahbi, 63 anni, arrestato qualche ora dopo il delitto del bengalese Afjal Hossan Khokan, 44 anni, avvenuto la mattina del 4 gennaio scorso sotto la palazzina di via Gran Sasso, dove abitavano vittima e presunto assassino, al termine di una rissa. Ieri il suo legale, l'avvocatessa Rossella Serra, nel corso dell’udienza preliminare ha chiesto al gip Giovanni de Rensis il rito abbreviato per il suo assistito, condizionato a un supplemento di perizia soprattutto sul coltello che, secondo la difesa, potrebbe non essere l’arma con la quale è stato colpito a morte il bengalese. Il giudice ha però rigettato la richiesta condizionata e ha accolto soltanto il rito abbreviato mentre, per gli altri due imputati che compaiono nel capo di imputazione, ma soltanto per la rissa, uno ha deciso di patteggiare e l’altro non si è presentato all'udienza (per lui è stato nominato un difensore d'ufficio).
Va detto che la rissa nacque per futili motivi: perché i bengalesi, che abitavano l’intera palazzina (ora sgomberata dal Comune), non gradivano la presenza del marocchino e da tempo pare stessero facendo di tutto per costringerlo ad andare via, per poter far entrare un loro connazionale. Quel giorno, stando almeno alle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso del suo interrogatorio, i bengalesi stavano parlottando nel cortile: «Volevano mettere un materasso davanti alla mia porta di casa e per questo sono uscito per chiedere loro spiegazione e loro mi risposero che me ne dovevo andare immediatamente da quella casa. Da qui è cominciato il litigio. Ricordo di aver visto tre di loro (che l'imputato ha riconosciuto nelle foto che gli vennero mostrate, ndc) che cominciarono a tirarmi delle pietre e io risposi allo stesso modo e poi sono rientrato in casa. Ho sentito bussare e allora ho preso un cacciavite e un bastone per difendermi. Ma quando sono uscito uno di loro mi ha afferrato le braccia per immobilizzarmi. Ricordo di aver colpito qualcuno con il cacciavite per liberarmi mentre gli altri mi colpivano con bastoni e catene». Poi arriva la fase cruciale della rissa e l’imputato fornisce la sua versione sull’accaduto, scaricando la colpa su un bengalese, Monir (quello che ha chiesto di patteggiare).
«Ho visto Monir impugnare il coltello per colpirmi, allora ho afferrato Khokan (la vittima ndr) per farmi scudo, visto che eravamo tutti molto vicini. Ho visto che Khokan veniva colpito con il coltello da Monir, ma non ho percepito immediatamente la gravità delle conseguenze perché in quel momento sono tonato in casa. Mi sono lavato le mani che sanguinavano perché ero stato colpito con un coltello. Poi sono tornato fuori e ho atteso l’arrivo dei carabinieri proprio perché non avevo nulla da temere». La richiesta del legale Serra è legata al fatto che i Ris esaminarono il coltello trovato a casa dell’imputato, che era stato parzialmente lavato. Risultavano tracce di sangue che non sarebbe stato possibile individuare a chi appartenessero, mentre quelle trovate nel lavandino erano sicuramente dell’imputato. La richiesta di una perizia era finalizzata proprio a dimostrare che quella non era l’arma del delitto. Sta di fatto che i carabinieri ascoltarono tutti i presenti e anche una signora che vide alcune fasi della rissa dal suo balcone, testi che vennero sentiti anche con l’incidente probatorio, proprio per cristallizzare le loro dichiarazioni sulla rissa e su chi avrebbe colpito la vittima. Insieme all'imputato, sono coinvolti Monir Hossain e Mohammed Matubar, entrambi accusati di rissa, mentre l'imputato risponde di omicidio, porto abusivo d'arma e rissa. Nel corso della prossima udienza è prevista la discussione e poi la sentenza con il rito abbreviato.