Va dal marito in carcere con la cocaina

8 Novembre 2024

La 39enne campana scoperta dai cani antidroga e arrestata dalla polizia penitenziaria. Il Sinappe: operazione brillante

PESCARA. Cento grammi di cocaina nella tasca. Così si è presentata la moglie di un detenuto, con il figlio diciassettenne al seguito, mercoledì mattina al carcere di San Donato dove avrebbe dovuto incontrare il marito per il consueto colloquio. Non immaginava, la donna, di trovare all’ingresso i cani antidroga che proprio l’altra mattina erano stati dati in ausilio agli agenti della polizia penitenziaria e hanno subito fiutato la sostanza. La donna, 39 anni, proveniente dalla Campania, è stata immediatamente bloccata e poi arrestata. Ad aggravare la sua posizione, altri 80 grammi di cocaina che la polizia penitenziaria ha trovato nella stanza d’albergo in centro a Pescara, dove alloggiava. E a quel punto, non solo non ha fatto il colloquio con il marito, ma è finita anche lei in carcere, a Teramo.
Un’operazione messa a segno con la collaborazione della squadra Mobile e che il segretario provinciale del Sinappe (Sindacato nazionale autonomo di polizia penitenziaria), Giuseppe Di Domizio, definisce «brillante» da parte della polizia penitenziaria che, ampiamente sotto organico, si trova ad affrontare quotidianamente i problemi che un carcere sovraffollato come quello pescarese si porta dietro. Tanto per rendere l’idea, a fronte di un massimo di 260 detenuti previsti, il San Donato ne contiene attualmente 460. A vigilare h24, sulla carta ci sono 127 agenti che tra ferie e malattie sono di fatto 70. «In ogni sezione, riferisce Di Domizio, «c’è praticamente un solo agente che peraltro, nelle sezioni detentive aperte, può fare ben poco. Basti pensare alla prima sezione penale dove ci sono cento detenuti che entrano ed escono dalle venti celle. Impossibile controllare ogni movimento». Ed è proprio in quegli istanti che si consumano gli scambi vietati, di droga e telefonini, il vero business all’interno del carcere. E questo spiega anche perché la moglie del detenuto campano si è presentata alla visita di mercoledì mattina con cento grammi di cocaina. Difficile pensare che fosse per il consumo individuale del marito. Quello che racconta la prassi, è che, al contrario, il destinatario di quella droga l’avrebbe venduta all’interno del carcere a circa 250 euro al grammo, contro i 10 euro che costa abitualmente una dose. E a pagare non è l’acquirente, ma amici o familiari che, dall’esterno, saldano all’amico o al parente del venditore quel debito di droga. Un modo, per chi vende, per allargare e rendere ancora più redditizia la piazza di spaccio, e proseguire comunque nella consueta attività.
E allora ecco spiegato perché di tanto in tanto all’interno del cortile del carcere piovano buste, borse o palloni pieni di droga. L’ultimo, qualche settimana fa: un agente di polizia penitenziaria era uscito per portare un detenuto “lavorante” a buttare la spazzatura e lì vicino ha trovato un pallone: dentro c’erano 400 grammi di hashish destinati a qualcuno all’interno del carcere. «Ma in quel caso», commenta Di Domizio, «il lancio non era riuscito, e la palla si è fermata nell’intercinta, nel mezzo, dove appunto i detenuti non possono arrivare. E noi che facciamo il possibile, fin dove arriviamo, l’abbiamo intercettata». E così anche per i telefonini.
Riuscire a far entrare un telefonino nel carcere, di quelli piccoli, è un’altra delle attività redditizie per i detenuti più operativi. Anche qui, qualche cifra: a parte l’utilizzo personale che a quel punto se ne può fare, venderlo in carcere può fruttare fino a 4.500 euro. Ma anche senza venderlo, il guadagno c’è sempre: 35 euro per una telefonata concessa con il cellulare vietato. E anche in questo caso c’è un vero e proprio traffico dall’esterno all’interno dell’istituto penitenziario. A farli entrare, i telefonini come la droga, sono i familiari dei reclusi. Spesso sono le mogli, le fidanzate, i fratelli, e meglio se c’è un neonato al seguito, con il pannolino che diventa un nascondiglio perfetto. Anche per questo la complicità delle donne, a detta di chi controlla, è forse quella più funzionale a questi traffici, soprattutto ora che non ci sono più i separè ai colloqui, ma i tavolini: basta un attimo per concludere la cessione.