GLI STRANI INTRECCI TRA L’ADVISOR E IL BISCIONE

24 Giugno 2014

di ANDREA SARUBBI Dice una leggenda - confermata però da più fonti, dunque al confine con la cronaca vera - che la sorpresa più grande, per i gestori dell'asta sui diritti tv del calcio, sia stata l'a...

di ANDREA SARUBBI

Dice una leggenda - confermata però da più fonti, dunque al confine con la cronaca vera - che la sorpresa più grande, per i gestori dell'asta sui diritti tv del calcio, sia stata l'asta stessa. Erano abituati a ricevere una busta per ciascun pacchetto: all'interno, una cifra di un euro superiore al minimo; i protagonisti si dividevano la torta (il satellite, il digitale terrestre, gli highlights, la Coppa Italia) e l'armistizio reggeva ancora un po'. Ma stavolta, dopo aver perso la Champions League, Sky ha deciso di far saltare il banco, appoggiata tra l'altro dall'ingresso di competitor inattesi: tipo Eurosport, ad esempio, che negli anni scorsi si era tenuta fuori dai giochi e che - dopo essere stata acquisita da Discovery - mira a proporsi come nuovo polo.

La leggenda non descrive nel dettaglio la faccia del capo di Infront, l'advisor della Lega calcio, alla prima apertura delle buste, per controllarne la regolarità: pare solo che abbia bofonchiato qualcosa e le abbia messe via. Fatto sta che il giorno dopo alcuni club erano già stati avvisati: la cosa "andava sistemata", perché "c'era una possibile violazione dell'antitrust".

L'Antitrust, in realtà, c'entra poco: la realtà è che, pur rispettando le linee guida approvate dall'Authority, Sky si era portata a casa sia il satellite che il digitale terrestre, finora divisi a metà con Mediaset; e ad Infront - con un capo che fa anche il consigliere di Milan Channel e un vice che proviene dai diritti sportivi Fininvest - si è improvvisamente alzato il sopracciglio.

"Vogliamo vederci chiaro", ha detto a quel punto la Lega, che invece di stappare champagne per le cifre d'acquisto dei diritti televisivi ha chiesto un parere legale. Il vicepresidente della Lega si chiama Adriano Galliani, che insieme a Barbara Berlusconi è anche vicepresidente e amministratore delegato del Milan, ma deve trattarsi di una coincidenza. Così come è un caso che il legale scelto per il parere sia il professor Giorgio De Nova, già membro del collegio difensivo della Fininvest nell'appello sul lodo Mondadori.

Ci sarebbe parecchio ancora da ironizzare, se l'ironia bastasse a cambiare le cattive abitudini. E invece c'è da farsi qualche domanda sulla credibilità dell'Italia stessa, di fronte agli investitori internazionali. Perché alla fine è di questo che si tratta: nei giorni in cui il presidente del Consiglio andava in Vietnam a stringere un accordo di interscambio commerciale da 5 miliardi di euro (con una ricaduta diretta sull'Italia di un quarto, forse anche meno), una grande società americana ne metteva sul piatto 3 (un miliardo all'anno, per tre anni), vincendo un'asta vera e rispettandone le procedure. Piuttosto complicate, a dire il vero, ma scritte nero su bianco e poggiate su tre paletti: vince chi offre di più, nessuno può comprare tutti e 5 i pacchetti (infatti Sky ne ha vinti 2, sebbene siano i principali), nessuno può condizionare la propria offerta per un pacchetto all'ottenimento di un altro (come ha fatto invece Mediaset per l'esclusiva di alcune partite).

Da un certo punto di vista, può anche dispiacere che un’azienda italiana - a meno di clamorosi ripensamenti della Lega - venga battuta sul mercato interno; dall'altro, però, bisogna chiedersi fino a che punto, in quello stesso mercato, Mediaset abbia approfittato nei decenni scorsi di una sponda istituzionale fortissima, che ora - insieme a un pezzo della pubblicità, già in crisi di suo - è venuta meno. A Mediaset, in sostanza, i soldi non mancano, altrimenti non ne avrebbe avuti, per la Champions League; mancano solo le soluzioni all'italiana, su cui troppo aveva puntato in passato, e non è detto che per l'Italia sia una cattiva notizia.

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