L’anno zero del calcio Ripartire dai giovani
Primi obiettivi: più attenzione ai vivai e riforma dei campionati
INVIATO A RIO DE JANEIRO. Benvenuti nel Condominio Italia, dove c’è una lite o una polemica a ogni riunione di consiglio (di Lega o Federale), dove i veti incrociati tra condomini bloccano di fatto le scelte chiave, come la realizzazione di una rete di centri tecnici per i giovani, dove la parabola della tv satellitare installata all’attico determina, con tutti i milioni che porta, anche le date dei raduni degli azzurri che ormai si fanno eliminare dai Mondiali dal Residence Costa Rica, addirittura più organizzato del nostro, o dal Barrio Uruguay, vecchio quartiere del fútbol con un bacino di tre milioni di abitanti, un ventesimo del nostro.
La struttura. «Nulla rischia di uccidere la democrazia più che l’eccesso di democrazia»: nel giorno che potrebbe essere ricordato come quello della rifondazione, anche Norberto Bobbio può servire per spiegare i mali del calcio italiano. La volontà di far partecipare anche la base alle decisioni che riguardano l’attività di vertice ha impedito al movimento di modernizzarsi, di aggiornarsi, di restare al passo con i tempi, con il ritmo dettato da altri paesi, quelli emergenti. Sembra una fotografia della nostra politica, o della nostra macchina economica, invece è “solo” pallone. Prendete per esempio il Consiglio federale, sul tavolo del quale finiranno le dimissioni irrevocabili di Cesare Prandelli e Giancarlo Abete. Tralasciando il presidente, è formato da ventidue componenti, indicati da vari “partiti”. Tre arrivano dalla serie A, altrettanti dalla Lega Pro, due dagli allenatori, uno dalla B, dalla componente arbitrale, dal settore tecnico e quello giovanile e scolastico, quattro dall’Associazione calciatori e, soprattutto, cinque dalla Lega dilettanti. Davanti a questo quadro ci si chiede perché chi si occupa di attività promozionali ed educative (tra l’altro adesso il degnissimo Luca Pancalli) o dei campionati minori, quelli al di sotto della vecchia serie C, debba votare anche il nome del futuro commissario tecnico, tanto per fare un esempio d’attualità.
I club. All’interno delle varie leghe non va meglio. Quella di A è rimasta praticamente paralizzata per un anno e mezzo, soltanto perché non ci si metteva d’accordo sulla definizione di bacino d’utenza e, quindi, sulla divisione della torta di (circa) mille milioni del contratto per i diritti tv. Alla fine non succede come in Inghilterra, dove i risultati ottenuti pesano davvero tanto per la determinazione della cifra da scrivere sull’assegno annuale che spetta a ciascun club. In Italia contano la storia, il numero di abitanti della città e in ultima battuta i piazzamenti degli ultimi anni. Morale della favola, gran parte dei soldi finiscono sempre nelle tasche dei soliti noti. Si dirà: ma in Spagna non succede la stessa cosa con Real Madrid e Barcellona? Sì, ma là c’è una struttura tecnica diversa.
I nostri giovani. Il riferimento all’istituzione delle squadre B (da inserire in campionati professionistici, si badi bene) è chiaro. Mentre qui il Consiglio federale ha bloccato il numero degli extracomunitari da tesserare in un anno, due al massimo in serie A, in Spagna hanno aperto il mercato e continuato a incoraggiare le seconde squadre. Succede così che le riserve di Real e Barça giocano la Segunda División, possono vincerla ma non essere promosse, mentre altre anche squadre della Liga frequentano i campionati del piano più in basso, la locale serie C. Si tratta di un escamotage che permette alle società di prima fascia di far giocare i propri giovani ad alto livello. Perché non lo facciamo anche in Italia? Perché i veti del Consiglio federale impediscono questa modifica ai regolamenti: i rappresentanti della Lega Pro e quelli di B non vedono di buon occhio questi inserimenti nei loro campionati. Eppure sarebbe bello assistere ai derby Inter B-Como, Milan B-Pro Patria, Juventus B-Pro Vercelli. Meglio di tutti quei “segni meno” in classifica, penalizzazioni dettate da irregolarità amministrative che spesso sfociano nel fallimento di tante realtà delle serie minori. «In Italia adesso c’è però la possibilità di rilevare un club dilettanti e salire tra i professionisti», ci disse due mesi fa il presidente uscente, Giancarlo Abete riferendosi al caso di Claudio Lotito, proprietario anche della Salernitana oltre che della Lazio. Ma ve lo immaginate Erick Thohir comprare anche il Rogoredo per puntare alla promozione e poi far giocare là tutti i giovani dell’Inter? Suvvia...
I centri tecnici. Imboccare la strada spagnola, non sarebbe male, anche perché su quella stessa carreggiata, con regolamenti magari diversi, ci sono anche altre nazioni di grande spessore che in questo Mondiale hanno fatto strada, evidentemente non a caso. Le squadre B ci sono anche in Olanda, in Francia (anche se fino quarta serie), in Germania, dove si chiamano Amateure: da noi il campionato riserve è esistito fino al 1954, per poi subire tutta una serie di cambiamenti fino all’attuale e improponibile – per livello tecnico – campionato Primavera. Lì i nostri giovani non riescono a maturare come succede invece per i coetanei tedeschi che sfruttano gli accordi tra i club e la federazione che di comune accordo mantengono ben 29 Eliteschulen des fussballs, le scuole per calciatori-studenti create in ogni regione grazie alla disponibilità dei ministeri dell’Istruzione dei Länder. In questi istituti i ragazzi hanno orari flessibili e durante la settimana, invece di baloccarsi in inutili ore di italica educazione fisica, possono appoggiarsi ai centri tecnici federali per fare degli allenamenti individuali al mattino. E nel pomeriggio si ripresentano per la seduta di squadra. Il 70 per cento dei calciatori delle giovanili dei club tedeschi, dall’Under 11 all’Under 19 frequenta queste scuole. Da là vengono fuori Mario Götze, Toni Kroos, Thomas Müller che nel 2006, quando è stato siglato questo accordo, erano degli adolescenti. Già, il 2006: probabilmente c’erano anche loro tra i tedeschi in lacrime dopo i gol di Grosso e Del Piero nella semifinale mondiale, mentre il Condominio Italia faceva festa al ritmo del Po popo popopopooo.
@pioleotto
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