L’altra vita di Di Donato: “Vidi morire mia moglie”
Nel 2003 il dramma in casa per via di una malformazione cardiaca: “Oltre al dolore la necessità di crescere un figlio di un mese, il calcio mi ha aiutato tanto e per me è tutto; oggi ho una nuova compagna e altri due figli”
ROSETO DEGLI ABRUZZI. Daniele Di Donato si definisce uno zingaro del calcio e della vita. Uno senza fissa dimora. Al pallone deve tutto, anche la vita che lo ha segnato nel 2003. Ha visto morire la moglie in casa il giorno di Capodanno, a Roseto, per una malformazione cardiaca. Oggi allena il Team Altamura, in serie C. Ha giocato anche in A. Con 413 presenze, spalmate tra il 1996 e il 2014, è il terzo giocatore con più presenze di sempre in serie B. Tanto per rendere l’idea del personaggio. Ha forza e personalità, le stesse peculiarità che, a distanza di anni, gli permettono di rivivere il dramma della morte di Roberta Foglia, anch’essa rosetana.
«Eravamo a casa, a Roseto. Improvvisamente, la mattina si è sentita male per una malformazione cardiaca congenita che, però, non le aveva mai dato problemi prima. Era a letto, si era appena svegliata. Non c’è stato nemmeno il tempo di andare in ospedale, a Giulianova. Un attimo prima era viva, poi è morta. Fidanzati da quando avevamo tutti e due dodici anni. Sposati da un anno e mezzo. Un dolore atroce. Mi sono sentito il mondo crollare addosso con un figlio di poco più di un mese da crescere. Sono cambiato, sento una forza diversa dentro di me, ma ho capito cos'è la vita. In quel periodo mi ha aiutato molto l'allenatore Daniele Arrigoni: mi ha ributtato subito in squadra».
A Palermo, dove Daniele Di Donato è l’idolo dei tifosi. Ma che cosa è accaduto alla moglie? «Una malformazione cardiaca i cui effetti si sono acuiti con il parto avvenuto nel novembre del 2002 ad Atri, quando è nato Luca. Si era sentita male, eravamo andati all’ospedale a Giulianova. Ma fu dimessa poco dopo. E dire che sarebbe bastato un by pass per arginare gli effetti di questa malformazione cardiaca». Dopodiché? «Non ho avuto tempo di piangermi addosso. Dovevo reagire per mio figlio». Oggi Luca studia medicina al San Raffaele. Daniele Di Donato dopo tanti anni ha trovato un’anima gemella, Laura, conosciuta ad Arzignano. E sono diventati genitori di Allegra 9 anni e Teo di nove mesi. A Roseto il resto della famiglia con cinque fratelli e due sorelle.
Gli inizi. E proprio da Roseto è partita la storia di Daniele Di Donato. A 10 anni è passato a Giulianova, allenatore Bellocchi. Gli osservatori gli hanno proposto di andare a Torino, a 13 anni. Lui ha detto sì. Era il Torino di Luciano Moggi direttore generale. «Regole ferree al Convitto dalla signora Teresa», ricorda, «mattina sveglia alle 8. Pomeriggio allenamento e scuola a sera. Ho ottenuto il diploma di ragioniere». Un po’ quello che faceva in mezzo al campo. A Torino ha vinto un Torneo giovanile di Viareggio, con Claudio Sala in panchina. Ha debuttato in serie B con la maglia granata, a Pescara, vicino casa con tutta la famiglia in tribuna. Nel 1997 è passato (con Andreotti e Bernardi in parziale contropartita della cessione di Claudio Bonomi) al Castel di Sangro dove non ha fatto in tempo a giocare nessuna partita in quanto acquistato dal Siena (del ds Nelson Ricci) con cui ha collezionato 21 presenze ed una rete nella stagione 1997-1998 in serie C1.
Ha giocato, poi, due campionati fino al 2000 con la Lodigiani in serie C1, collezionando 31 presenze in entrambe le stagioni. «A Roma ho conosciuto una grande persona, mister Guido Attardi (aquilano, ndr). Come un padre», ricorda Di Donato che a quei tempi giocava con un promettente Luca Toni. Nel 2000 il trasferimento al Palermo dove è rimasto quattro stagioni anche con la fascia da capitano. Il primo gennaio 2003 l’evento nefasto destinato a segnare la sua vita: la morte della moglie venticinquenne, Roberta Foglia, che da un mese lo aveva reso padre di Luca. «Ti senti forte, poi la vita ti cambia in un attimo. Oggi ci sei, domani no», osserva.
Cinque giorni dopo il Palermo ha giocato al Renzo Barbera contro la Sampdoria con il lutto al braccio e prima del fischio di inizio è stato osservato un minuto di silenzio. «Fu bravo Arrigoni, il mister, a gettarmi nella mischia, evitando che pensassi ad altro». Due anni con la gestione Sensi, altrettanti con Zamparini. L’unico a resistere in organico dopo due promozioni, dalla C alla A. A Palermo lo chiamano sette polmoni. Nella stagione 2004-2005 va a Siena, in A. Nel 2005 passa all’Arezzo. Nel 2007, sempre in B, ad Ascoli. Infine a Cittadella dove chiude la carriera da calciatore.
Da allenatore. Di Donato inizia con le giovanili del Modena («c’era Taibi, un mio amico, a fare il diesse») per poi passare nel 2017 alla Jesina. L’11 giugno 2018 sostituisce Vincenzo Italiano (oggi al Bologna) sulla panchina dell’Arzignano. Vince il campionato con l’Arzignano venendo promosso in serie C e nel 2019 e diventa il nuovo allenatore dell’Arezzo. Una breve parentesi a Trapani e il 3 novembre 2020 subentra all’esonerato Giuseppe Galderisi sulla panchina della Vis Pesaro, in serie C. Di lui si ricorda il concittadino Marcello Di Giuseppe, diesse del Latina. Che lo chiama nell’agosto del 2021, fino alla scorsa stagione.
In estate il neopromosso, in C, Team Altamura gli offre la panchina. Precampionato ad Alfedena, in Abruzzo. Poi, una partenza stentata. Il rischio dell’esonero, ma da una situazione difficile è venuto fuori con il carattere. «Il calcio è gioia. Sto male senza calcio», la chiosa finale, «senza lavorare. Il calcio mi ha aiutato a superare problemi ben più gravi». Simone Pesce, ex Ascoli, oggi ds del Lumezzane, il miglior amico; il compianto Gigi Simoni il modello da seguire. Questo è Daniele Di Donato, l’uomo aggrappato al calcio per dimenticare il dramma familiare.
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