Morto Bruno Pizzul, addio alla voce storica del giornalismo sportivo italiano

Si è spento Bruno Pizzul a quasi 87 anni. Ultimo rappresentante di una dinastia di giornalisti che ha raccontato, prima alla radio, poi in televisione, pagine di storia dello sport e di calcio in particolare
Si è spento oggi Bruno Pizzul all’età di 87 anni. Piange il mondo del giornalismo, in particolare sportivo. Nato a Cormons in provincia di Udine era l'ultimo rappresentante di una dinastia di giornalisti che ha raccontato, prima alla radio, poi in televisione, pagine di storia dello
sport e di calcio in particolare. Da giovane aveva alternato gli studi all'attività sportiva, dedicandosi in particolare al calcio. Raccontava di un provino sostenuto nel 1958 con il Catania, allora in serie A, insieme ad un altro ragazzo friulano: «I dirigenti siciliani si trovarono davanti ad un bivio e sbagliarono strada. Scelsero me perché ero 'fisicamente più prestante'». Ma l'altro si chiamava Tarcisio Burnich.
La carriera calcistica, nel ruolo di centromediano, è però breve, interrotta da un infortunio. Maturità classica, laurea in giurisprudenza, quindi l'insegnamento di materie letterarie nelle scuole medie, fino all'assunzione in Rai del 1969, dopo aver partecipato al concorso nazionale per radio-telecronisti. Sono i primi passi di una lunga storia professionale che lo porterà a raccontare con la sua voce inconfondibile le gesta della Nazionale in cinque Mondiali e quattro Europei tra il 1986,
quando succede a Martellini, ed il 2002.
Era un'Italia che si sentiva grande e legittimamente sognava di conquistare un trofeo. Non sarebbe successo in quei 16 anni. Così Pizzul, pur descrivendone alcune delle pagine più importanti, non riuscì ad incrociare mai l'Italia campione. L'8 aprile 1970 commentò la sua prima partita: Juventus-Bologna, spareggio di Coppa Italia disputatasi sul campo neutro di Como, iniziò a partire dal 16' minuto perché era arrivato in ritardo. La prima vittoria di una squadra italiana annunciata in diretta ai telespettatori in una finale di coppa europea fu, invece, quella del Milan in Coppa delle Coppe ai danni del Leeds Utd, a Salonicco il 16 maggio 1973. Il 29 maggio 1985 era il commentatore della finale della Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool.
Doveva essere un evento gioioso, si trovò a raccontare la strage dell'Heysel. «È stata la telecronaca che non avrei mai voluto fare, disse anni dopo, Non tanto per un discorso di difficoltà di comunicazione giornalistica, ma perché ho dovuto raccontare delle cose che non sono accettabili proprio a livello umano». Da conduttore ha guidato per la Rai trasmissioni iconiche come la 'Domenica Sprint', 'Domenica Sportiva' e 'Sport Sera'. In tv ha coniato alcune espressioni: «tutto molto bello», «ha il problema di girarsi» entrate di diritto nel vocabolario, così come la sua scelta di chiamare soltanto per nome Dino e Roberto Baggio, compagni di squadra in Nazionale. Al cinema ha interpretato se stesso con alcuni cameo nei film “L'arbitro” del 1974 ed in “Box office 3D” del 2011.
Non aveva mai preso la patente «per pigrizia» e preferiva spostarsi in bicicletta. Appassionato di tresette, biliardo e bocce, ricordava di quando c'era un rapporto diverso con i calciatori e, seguendoli nei ritiri, si finiva per ritrovarsi a giocare con loro, a conoscerli senza filtri, oltre quello che esprimevano in campo. Resterà per sempre la voce delle “Notti magiche” di Italia '90. La sobrietà era il suo marchio di fabbrica. In una recente intervista aveva detto: «I telecronisti di oggi sono bravi, ma parlano troppo». Se ne va un pezzo di storia del Paese, una voce inconfondibile che ha raccontato l'Italia.