TERAMO

Caporalato, lavoro 15 ore al giorno e a dormire in una roulotte: “Trattato come uno di famiglia, veniva da noi a fare la doccia”

10 Gennaio 2025

L’uomo, padre dell’imprenditore accusato di caporalato, parla come teste: «Era lui che voleva stare in roulotte, mio figlio gli aveva offerto la casa. Trattato come uno di famiglia, ogni giorno veniva da noi per fare la doccia. Con noi anche alle feste»

TERAMO. A raccontare per sempre il caso, qualsiasi epilogo giudiziario possa avere, resterà l’immagine di quella vecchia roulotte rovente d’estate e gelida d’inverno diventata alloggio di un uomo. «Ma mio figlio al migrante aveva offerto di stare in un alloggio, al piano terra dello stabile in cui abitiamo. Lui aveva rifiutato preferendo la roulotte»: così nella nuova udienza del processo ha raccontato il padre del 25enne Marco Di Francesco, l’imprenditore agricolo teramano accusato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro con violazione dei contratti nazionali e delle norme sulla sicurezza del lavoro insieme alla mamma Nicoletta Di Fabio, 50enne titolare dell’azienda agricola di Sant’Atto ma con un altro lavoro (rispettivamente difesi dagli avvocati Lidia Serroni e Franco Patella). Il caso è quello del migrante che per oltre un anno ha vissuto in una roulotte nell’azienda agricola dove lavorava.

Le indagini dei carabinieri del Nil, il nucleo ispettorato del lavoro, sono scattate dopo la denuncia del migrante che ha raccontato di aver lavorato per quindici ore al giorno per circa un anno occupandosi di un allevamento di vitelli e alloggiando nella roulotte senza corrente elettrica e servizi igienici. Tutto per 500 euro al mese. Il migrante nel corso delle indagini ha raccontato di aver risposto a un annuncio su Facebook in cui l’azienda agricola teramana offriva salario, vitto e alloggio per occuparsi della gestione degli animali di una stalla di giorno e per fare da guardiano alla stalla di notte. Nel giugno dell’anno scorso è arrivato a Teramo e da allora, da clandestino, ha vissuto nella roulotte vicino alla stalla. Dopo la denuncia il 25enne imprenditore è finito in carcere (ora è domiciliari).

«Lo abbiamo sempre trattato come uno di famiglia», ha detto ancora il padre dell’imprenditore citato come teste della difesa, «veniva in casa per farsi la doccia e per mangiare veniva con noi alle feste di famiglia. Era con noi a festeggiare il mio 50esimo compleanno». Il migrante, ora ospite di una comunità protetta, ha confermato le accuse nel corso di un incidente probatorio che si è svolto nei primi giorni di settembre. A marzo nuova udienza del processo che si volge davanti alla giudice monocratica Claudia Di Valerio.