Delitto De Meo: chiuse le indagini
Processo-lampo ai due ragazzini accusati dell’omicidio del cameriere.
TERAMO. Omicidio De Meo: indagine chiusa. Dopo la riconsegna della superperizia medica, si va verso un processo lampo. La procura dei minori dell’Aquila (il titolare del caso è il pm Antonella Picardi) sta per chiedere il giudizio immediato per i due rom minorenni.
I ragazzini di 17 e 15 anni (uno di 13 non è imputabile per l’età) sono rinchiusi in un istituto minorile di Roma con l’accusa di omicidio aggravato.
Antonio De Meo, studente universitario 23enne di Castel Di Lama, cameriere durante l’estate per pagarsi gli studi, venne ucciso nella notte tra il 9 e il 10 agosto a Villa Rosa di Martinsicuro. Era appena uscito dall’albergo in cui lavorava.
La lite con i rom scoppiò per una bicicletta e avvenne davanti ad un chioschetto di panini: il giovane marchigiano, che aveva accusato i tre di essersi impossessati di una bicicletta dell’hotel, venne colpito più volte con dei pugni in pieno volto. Cadde a terra e morì sul colpo. I due scapparono su un motorino rubato che poi incendiarono. All’epoca venne arrestato anche il padre di uno di loro, accusato di aver bruciato il motorino per cancellare ogni traccia (l’uomo da qualche settimana è agli arresti domiciliari). I due minorenni confessarono subito. Qualche settimana dopo tra gli investigatori e gli inquirenti cominciò a circolare l’ipotesi che il giovane studente potesse essere stato colpito anche con dei caschi o un tirapugni. Per questo vennero fatte delle perquisizioni nelle abitazioni degli indagati, ma le ricerche diedero esito negativo.
La superperizia, affidata all’anatomopatologo Giuseppe Sciarra, ha escluso che De Meo possa essere stato colpito con qualcosa. L’esame, chiesto proprio dalla procura, ha invece confermato che il giovane è stato ucciso da una raffica di pugni sferrata in pieno volto. E non solo. La perizia ha escluso la presenza di malformazioni congenite che potrebbero aver accelerato la morte del ragazzo. E proprio dopo la riconsegna della perizia la procura potrebbe aver deciso di chiudere le indagini. Per il magistrato le prove raccolte sono più che sufficienti per un immediato.
I ragazzini di 17 e 15 anni (uno di 13 non è imputabile per l’età) sono rinchiusi in un istituto minorile di Roma con l’accusa di omicidio aggravato.
Antonio De Meo, studente universitario 23enne di Castel Di Lama, cameriere durante l’estate per pagarsi gli studi, venne ucciso nella notte tra il 9 e il 10 agosto a Villa Rosa di Martinsicuro. Era appena uscito dall’albergo in cui lavorava.
La lite con i rom scoppiò per una bicicletta e avvenne davanti ad un chioschetto di panini: il giovane marchigiano, che aveva accusato i tre di essersi impossessati di una bicicletta dell’hotel, venne colpito più volte con dei pugni in pieno volto. Cadde a terra e morì sul colpo. I due scapparono su un motorino rubato che poi incendiarono. All’epoca venne arrestato anche il padre di uno di loro, accusato di aver bruciato il motorino per cancellare ogni traccia (l’uomo da qualche settimana è agli arresti domiciliari). I due minorenni confessarono subito. Qualche settimana dopo tra gli investigatori e gli inquirenti cominciò a circolare l’ipotesi che il giovane studente potesse essere stato colpito anche con dei caschi o un tirapugni. Per questo vennero fatte delle perquisizioni nelle abitazioni degli indagati, ma le ricerche diedero esito negativo.
La superperizia, affidata all’anatomopatologo Giuseppe Sciarra, ha escluso che De Meo possa essere stato colpito con qualcosa. L’esame, chiesto proprio dalla procura, ha invece confermato che il giovane è stato ucciso da una raffica di pugni sferrata in pieno volto. E non solo. La perizia ha escluso la presenza di malformazioni congenite che potrebbero aver accelerato la morte del ragazzo. E proprio dopo la riconsegna della perizia la procura potrebbe aver deciso di chiudere le indagini. Per il magistrato le prove raccolte sono più che sufficienti per un immediato.