L'ANNIVERSARIO / L'INTERVISTA
Dieci anni dal delitto di Melania, il papà: "Non c’è stata giustizia"
Gennaro Rea: "Dopo mia figlia tante altre donne uccise, ma lo Stato resta a guardare la strage. Penso a tutti i genitori come me e mia moglie, ne ho contattati tanti per sentirci meno soli"
TERAMO. Quando è già tempo di memoria «senza che giustizia sia stata fatta», il prezzo di certi ricordi è sempre troppo alto. «È la voce di Melania al telefono che mi parla della sua bambina» dice papà Gennaro. Perché sono passati 10 anni da quel 18 aprile, ma è ancora oggi. In questa Italia che non smette di contare le donne ammazzate anche nei tempi infiniti di una pandemia, ci vuole sempre una faccia, una storia per capire cosa perdiamo, quale vuoto e quale scia di dolore si lasciano dietro. Lo sa bene Gennaro Rea a cui è toccato in sorte il più disumano dei dolori: sopravvivere alla morte di una figlia ammazzata. «Dieci anni, un giorno, un’ora. Per me è sempre come se fosse successo ieri» ti dice sapendo che un altro 18 aprile di ricordi e rabbia scivolerà nella sua vita. «Non la chiami vita», ti corregge, «perché io e mia moglie da quando Melania non c’è più sopravviviamo nel nome di nostra nipote, una bambina che cerchiamo di far crescere nella maniera più serena possibile».
Dopo Melania è arrivata la legge contro il femminicidio, ma la strage continua. Che cosa manca?
«Manca la certezza della pena in questo Paese in cui lo Stato continua a guardare questo infinito elenco di donne uccise da uomini. Guardi il caso della mia Melania e pensi che tra qualche tempo l’assassino di mia figlia potrà pensare alla libertà, a rifarsi una vita, come se l’omicidio fosse stato una parentesi. Io non credo che chi ha ucciso in quel modo possa redimersi, possa pentirsi. Penso che chi ha fatto una cosa così possa rifarla. Dopo l’omicidio di Melania la mia famiglia ha fondato un’associazione contro la violenza sulle donne perché l’attenzione resti sempre alta, ma è lo Stato che deve fare di più. Invece resta al balcone a guardare gli omicidi che aumentano, a fare sconti agli assassini che possono rifarsi una vita. Ma alle vittime chi ci pensa? A chi sopravvive giorno per giorno? A chi cresce bambini che restano soli?».
In questi anni lei ha contattato i genitori di altre donne uccise, a cominciare da quelli di Elena Ceste, la mamma di Costigliole d’Asti ammazzata nel 2014 dal marito e il cui corpo venne ritrovato dieci mesi dopo la scomparsa. Condividere lo stesso dolore aiuta a sopravvivere?
«Ho pensato a tutti i nonni che vivono questa nostra situazione e che in questa Italia sono sempre di più visto che i femminicidi purtroppo non si fermano. Ho pensato ai figli delle vittime di femminicidio, ai tanti bambini che restano senza genitori e per cui i nonni diventano mamme e papà. Ho pensato a tutto questo e ho cominciato a cercare chi vive la mia stessa condizione. Per sentirci meno soli in questo Paese dove la giustizia per le vittime non c’è mai e quando c’è è sempre poca».
Salvatore Parolisi, il marito di sua figlia, è stato condannato a una pena definitiva di vent’anni dopo che la Cassazione ha eliminato l’aggravante della crudeltà. Lei crede sia stata fatta giustizia?
«Non posso dire che mia figlia abbia avuto giustizia perché non l’ha avuta. Il marito l’ha uccisa con 35 coltellate mentre la loro figlioletta di 17 mesi era in macchina, l’ha lasciata agonizzante in un bosco e dopo qualche giorno è tornato ad oltraggiare il corpo per depistare le indagini. Ma per i giudici questo non vuol dire essere crudeli. Parolisi ha sempre mentito, ha mentito a noi, agli investigatori che cercavano la verità. Ha sempre raccontato bugie ma nonostante questo è stato premiato dalla giustizia e forse lo sarà ancora. Da genitore spero che nessuno debba mai trovarsi nella situazione che viviamo io e mia moglie. Melania ci riempiva la vita e con il passare degli anni la sua assenza ci pesa sempre di più, anche se abbiamo nostra nipote che ci fa pensare al futuro e ogni giorno cerchiamo di essere il meglio per questa bambina che oggi è la nostra unica ragione di vita. Parolisi ha sempre mentito a noi, agli investigatori che cercavano la verità. Ha sempre raccontato bugie. Ma io non mi aspetto più niente da questo Stato che è uno Stato di diritto solo per gli assassini e non per le vittime, quelle che non ci sono più e quelle che sopravvivono nel dolore e nella rabbia».
Parolisi ha scontato la metà della pena e ora potrà chiedere dei permessi premio. Se potesse che cosa direbbe al magistrato che dovrà decidere su questo?
«Di decidere con coscienza e di pensare anche alle vittime, a noi e a nostra nipote. Quella persona, il marito di mia figlia, potrà tornare dai suoi familiari in permesso premio, ma mia figlia non tornerà più da noi e dalla sua bambina. Quali sono i premi che lo Stato italiano concede alle vittime? Quali quelli che concede ai suoi familiari? Purtroppo ancora una volta lo Stato resta a guardare mia figlia e tutte le altre donne ammazzate. Che giustizia è?».
Sua nipote aveva 17 mesi quando la madre venne uccisa a pochi metri dall’auto in cui si trovava. Oggi ha 12 anni e vive con lei e sua moglie dopo l’affidamento del tribunale dei minori. Farà delle domande.
«Le fa già perché noi parliamo sempre di sua mamma. Mia nipote è cresciuta nella verità. È seguita dagli psicologi del tribunale e cresce benissimo conoscendo la verità. Negli anni anche io e mia moglie siamo diventati psicologi, psicologi di noi stessi, per affrontare con lei tutto al meglio cercando di mettere da parte il dolore di genitori per essere solo nonni. E vedere come cresce serena ci riempie la vita. Ma tutte le volte che la guardo penso con rabbia a chi le ha impedito di crescere con sua madre, con una ragazza che aveva solo 29 anni e tanta voglia di vivere. Mia nipote non potrà mai ricordare una sua carezza, una sua parola, una sua favola della buonanotte. Si dovrà accontentare di vedere sua mamma nelle foto, di conoscerla dai racconti dei nonni, degli zii, di tutti quelli che le hanno voluto bene e continuano a volergliene. E questo non può essere giusto».
Dopo tanti anni dalla morte di Melania qual è il ricordo di lei che l’accompagna?
«Il sorriso di mia figlia, la sua voglia di vivere e di fare la mamma, il suo amore per l’uomo che le avrebbe tolto la vita. Tutte le volte che guardo mia nipote vedo mia figlia, quello che avrebbe potuto essere e non sarà mai, quello che avrebbe potuto dare a noi genitori e che non potremo avere. Era contenta della sua vita, del suo matrimonio, quando ci vedevamo la sua voglia di vivere contagiava tutti. Ecco, il ricordo di Melania è Melania stessa».
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