Ha ucciso il papà con 92 coltellate «La lama piegata per la violenza» 

In aula la deposizione dei carabinieri intervenuti per primi nell’appartamento di viale Crispi «La vittima a terra chiedeva aiuto, fu il figlio a dirci dove aveva messo l’arma dopo averla ripulita»

TERAMO. La dinamica di un delitto d’impeto prende forma in un’aula di Corte d’assise, con quelle 92 coltellate sferrate con una forza tale da piegare la lama di un coltello lungo 40 centimetri. La ricostruiscono i carabinieri nella loro deposizione di testi citati dalla Pubblica accusa (rappresentata dal pm Monia Di Marco) nella seconda udienza del processo per l’omicidio di Mario Di Rocco, il pensionato 83enne assassinato dal figlio Francesco, 49enne studente fuori corso di veterinaria. Nella loro deposizione scorrono gli ultimi attimi di vita della vittima.
«Chiedeva aiuto» raccontano i militari che quella drammatica sera del 21 novembre del 2023 arrivarono per primi in viale Crispi, nell’appartamento sopra la stazione ferroviaria, dopo che il figlio Francesco aveva telefonato al 112 per chiedere aiuto: «Io e mio padre abbiamo litigato, correte».
È lo stesso Francesco a confessare di aver colpito il genitore, a indicare lo sportello della cucina dove ha messo il coltello dopo averlo lavato e risistemato nella sua custodia. In casa nessun segno di colluttazione ma solo tanto sangue, tanto schizzi. «Tracce ematiche ovunque» precisa il carabiniere nel differenziare tra tracce attive (quelle conseguenza dei colpi inferti) e tracce passive (come quelle da gocciolamento). Al biologo del Ris di Roma il compito di conferma gli esiti di tutti gli accertamenti da laboratorio su dna e reperti vari.
Di Rocco, che si trova nel carcere di Castrogno, è accusato di omicidio aggravato. La difesa, rappresentata dall’avvocato Federica Benguardato, nella prima udienza ha chiesto una perizia psichiatrica e su questo la corte si è riservata. I familiari della vittima, un fratello e una nipote figurano come parti offese negli atti giudiziari ma nessuno si è costituito parte civile. Francesco Di Rocco, dopo l’arresto e durante l’udienza di convalida, al giudice ha sempre ripetuto di non voler uccidere il genitore e di aver preso il coltello in un momento di rabbia dopo l’ennesimo litigio perché esasperato dall’atteggiamento definito «opprimente» dell’anziano papà. «Non volevo uccidere», ha detto in quell’occasione al magistrato, «non avrei mai voluto fare del male a mio padre anche se per una vita mi ha oppresso. Ho preso il coltello perché volevo fargli capire che non potevo più andare avanti a sopportare. Quella sera mi ha rimproverato per gli adesivi sull’insalatiera, ho preso un coltello e l’ho colpito. Il coltello l’ho lavato perché avevo timore che mio padre potesse sgridarmi perché lasciato sporco. Lavavo sempre tutto quello che potevo sporcare in cucina perché lui voleva tutto in ordine». L’anziano avrebbe provato a difendersi così come testimoniato dai tanti segni sulle mani protese in avanti e avrebbe tentato di allontanarsi cercando di trovare riparo in un altro angolo della stanza. L’uomo, sempre secondo la ricostruzione emersa dall’autopsia, avrebbe cercato anche di bloccare il figlio afferrando il coltello con una mano. Si torna in aula a novembre davanti alla Corte presieduta dal giudice Francesco Ferretti (a latere il giudice Marco D’Antoni più i popolari).
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