Ha ucciso la compagna, definitiva la condanna a 21 anni di carcere
Non ci sarà processo d’appello e ricorso in Cassazione per il 36enne romeno che accoltellò Mihaela Procura e difesa non impugnano la sentenza di primo grado, l’uomo resta detenuto a Castrogno
TERAMO. Non ci saranno Appello né Cassazione a scandire nuovi epiloghi: è diventata definitiva la condanna a 21 anni inflitta a Cristian Daravoinea, il 36enne cittadino romeno che nel pomeriggio del 9 ottobre del 2019 a Nereto accoltellò a morte la compagna Mihaela Roua, connazionale di 32 anni, mamma di una bambina di sei. Né la Procura né i difensori dell’uomo (gli avvocati Federica Di Nicola e Mario Gebbia) hanno impugnato la sentenza di primo grado. L’uomo attualmente è detenuto nel carcere teramano di Castrogno.
Per il giudice estensore della sentenza Domenico Canosa (oggi in Appello, allora presidente della Corte d’assise davanti a cui si è svolto il processo concluso nell’ottobre del 2021) «la vicenda», così nelle motivazioni, «appare inquadrarsi in quelle dinamiche relazionali conflittuali che molte volte connotano le vite di coppie arrivate alla fine del loro percorso e dove talvolta si assiste ad una esplosione di aggressività con conseguenze drammatiche». A fare da filo conduttore la perizia eseguita, proprio su incarico della corte, dallo psichiatra Renato Ariatti, che in passato si è occupato del caso di Cogne, e che per il magistrato contiene «argomentazioni ritenute di cristallino rigore logico-scientifico». Per Ariatti, che ha dichiarato Daravoinea capace di intendere e di volere al momento dei fatti e processualmente capace, «il gesto estremo in danno della donna appare trovare la propria genesi nell’ambito di una incapacità ad accettare la fine del rapporto sentimentale su cui tanto aveva investito. Il gesto omicida non appare sostenuto da una condizione psicopatologica documentabile capace di inficiare la capacità di percepire la realtà, bensì sgorga al culmine di una sequenza di avvenimenti e di relativi stati d’animo che attengono alla sfera delle passioni e delle frustrazioni. Lui stesso parla di rabbia e di gelosia». E ancora: «La situazione che si delinea quel giorno orienta verso un tipico deragliamento non su base psicotica bensì emotiva e passionale». Quel pomeriggio del 9 ottobre tutto quello che Mihaela sognava per sé e la figlia sfumò in un attimo tra la camera da letto e la cucina dell’appartamento di Nereto, tra i giochi della piccola, le foto sorridenti sparse sui mobili di casa e i due fendenti al cuore. Lei e lui si stavano separando, litigi continui: particolari diversi in storie drammaticamente uguali a scandire un’altra tragedia nell’Italia dei femminicidi in cui ogni 48 ore una donna viene uccisa.
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