Il padre di Melania Rea: «Dopo di lei una strage senza fine»

14 anni fa l’omicidio di Ripe. L’intervista del Centro a Gennaro Rea: «A Parolisi e oggi anche a Turetta hanno tolto l’aggravante della crudeltà. Che valore ha la sofferenza?»
TERAMO. Sono passati 14 anni da quel 18 aprile, ma è ancora oggi. In questa Italia che non smette di contare le donne ammazzate, ci vuole sempre una faccia, una storia, per capire cosa perdiamo, quale vuoto e quale scia di dolore si lascino dietro. Lo sa bene Gennaro Rea, a cui è toccato in sorte il più disumano dei dolori: sopravvivere a Melania, la figlia ammazzata con 35 coltellate dal marito Salvatore Parolisi nel bosco di Ripe di Civitella. «Per me è sempre come se fosse successo ieri» ti dice sapendo che un altro 18 aprile di ricordi e rabbia scivolerà nella sua vita. Perché il dopo non appartiene mai ai ricordi della prima ora, ma alla rabbia disperata che portano queste morti senza senso.
Dopo Melania è arrivata la legge contro il femminicidio, ma la strage non si ferma. Che cosa manca?
«Manca la certezza della pena in questo Paese in cui lo Stato continua a guardare questo infinito elenco di donne uccise da uomini. Guardi il caso della mia Melania e pensi che tra qualche tempo l’assassino di mia figlia potrà pensare alla libertà, a rifarsi una vita, come se l’omicidio fosse stato una parentesi. Io non credo che chi ha ucciso in quel modo possa redimersi, possa pentirsi. Penso invece che chi ha fatto una cosa così possa rifarla. E allora credo che sia giusto che resti in carcere per sempre, che si butti la chiave perché uno che fa una cosa del genere può solo rimanere in cella. Dopo l’omicidio di Melania la mia famiglia ha fondato un’associazione contro la violenza sulle donne perché l’attenzione resti sempre alta, ma è lo Stato che deve fare di più».
L’ex caporal maggiore Salvatore Parolisi, il marito di Melania, è stato condannato a una pena definitiva di vent’anni dopo che la Cassazione ha eliminato l’aggravante della crudeltà così come, tra l’altro, di recente è stato fatto per Filippo Turetta che ha ucciso Giulia Cecchettin. Lei crede sia stata fatta giustizia?
«Non posso dire che Melania abbia avuto giustizia perché non l’ha avuta. Il marito l’ha uccisa con 35 coltellate mentre la loro figlioletta di 17 mesi era in auto, l’ha lasciata agonizzante in un bosco e dopo qualche giorno è tornato ad oltraggiare il corpo per depistare le indagini. Ma per i giudici questo non vuol dire essere crudeli. La stessa cosa nelle motivazioni della sentenza hanno detto di Turetta. Per i giudici essere crudeli significa altro, significa un altro modo di interpretare la sofferenza fisica. Ma che valore ha la sofferenza umana? Come si fa dire quanto possa soffrire una donna che vede l’uomo che ama colpirla fino alla morte? »
Dopo tanti anni dalla morte di Melania qual è il ricordo di lei che l’accompagna?
«Il sorriso di mia figlia, la sua voglia di vivere e di fare la mamma, il suo amore per l’uomo che le avrebbe tolto la vita. Tutte le volte che guardo mia nipote vedo mia figlia, quello che avrebbe potuto essere e non sarà mai, quello che avrebbe potuto dare a noi genitori e che non potremo avere. Era contenta della sua vita, del suo matrimonio, quando ci vedevamo la sua voglia di vivere contagiava tutti. Ecco, il ricordo di Melania è Melania stessa».
Sua nipote aveva 17 mesi quando la madre venne uccisa a pochi metri dall’auto in cui si trovava. Oggi ha 18 anni e vive con lei e sua moglie dopo l’affidamento del tribunale dei minori. Avrà fatto domande?
«Le ha fatte da quando era piccola. Le ha sempre fatte perché noi parliamo sempre di sua mamma. Mia nipote è cresciuta nella verità. È stata seguita dagli psicologi del tribunale ed è cresciuta conoscendo la verità. Negli anni anche io e mia moglie siamo diventati psicologi, psicologi di noi stessi, per affrontare con lei tutto al meglio cercando di mettere da parte il dolore di genitori per essere solo nonni. E vedere come è cresciuta serena ci riempie la vita. Ma tutte le volte che la guardo penso con rabbia a chi le ha impedito di crescere con sua madre, con una ragazza che aveva solo 29 anni e tanta voglia di vivere. Mia nipote non potrà mai ricordare una sua carezza, una sua parola, una sua favola della buonanotte. Si dovrà accontentare di vedere sua mamma nelle foto, di conoscerla dai racconti dei nonni, degli zii, delle amiche».
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