Il padre rom chiede perdono

Scrive una lettera ai genitori del giovane ucciso a pugni.

TERAMO. E’ un padre che scrive ad un padre per chiedere perdono. Suo figlio di 17 anni è uno dei due ragazzini rom in carcere per aver ucciso a pugni Antonio De Meo, lo studente di 23 anni. Ad una settimana da quell’assurda tragedia l’uomo cerca e, a fatica, trova le parole per rivolgersi a due genitori straziati dal dolore. Lo fa con una lettera aperta inviata al Centro. Diciotto righe in cui chiede perdono sapendo bene «che questo non può bastare». Ma è anche un papà che racconta «di aver fatto il dovere di padre consegnando mio figlio alla giustizia, come giusto che sia». Quel figlio che, scrive, «ha commesso un errore imperdonabile ed è giusto che paghi non solo tramite la legge ma anche tramite la legge del Signore». E’ questo, forse, il passaggio più intenso della lettera del padre del ragazzino accusato con l’amico di aver spento per sempre, in quella drammatica notte di sette giorni fa, i sogni di uno studente di appena 23 anni. «Non so cosa scrivervi per farvi capire il rimorso che ho nel cuore», scrive l’uomo, «la vita di vostro figlio si è spezzata a soli 23 anni e mio figlio che ha 17 anni si ritrova con un’accusa orribile per un litigio, per la solita bravata degli adolescenti.

Ma non pensava di combinare questa tragedia incancellabile, di certo non voleva uccidere nessuno. Provo ad immaginare il dolore della perdita di un figlio, la cosa più orribile che esista al mondo». L’uomo qualche giorno fa incontrato il figlio, difeso dall’avvocato Luca Sarodi, rinchiuso in un istituto minorile di Roma. E’ probabile che nei prossimi giorni sia Sarodi che Piergiuseppe Sgura, il legale dell’altro ragazzino arrestato, presentino ricorso al tribunale del riesame per chiedere la libertà con motivazioni diverse. E’ ipotizzabile che per il più piccolo, quello di 15 anni, il ricorso parta dalla necessità di accogliere il minore in una casa famiglia in cui poter continuare un percorso di assistenza già avviato ad Alba, dove è seguito dai servizi sociali del Comune. Va ricordato che anche il padre del quindicenne è in carcere con l’accusa di favoreggiamento reale, ricettazione e incendio doloso.

Secondo gli inquirenti avrebbe dato fuoco allo scooter rubato con cui il figlio aveva lasciato Martinsicuro la notte dell’omicidio, cancellando ogni traccia e coprendo così il ragazzo che in primo momento gli aveva raccontato di aver investito un pedone. Nel corso dell’udienza di convalida, però, davanti al giudice l’uomo ha accusato il figlio di aver dato fuoco al mezzo, sostenendo di averlo visto incendiare lo scooter. Intanto vanno avanti le indagini dei carabinieri per ricostruire gli aspetti ancora oscuri di quella drammatica notte a Martinsicuro. L’autopsia ha accertato che il giovane è stato colpito da più pugni, forse addirittura cinque, che hanno provocato una emorragia cerebrale devastante. Non è escluso che nei prossimi giorni possano esserci delle importanti novità.