Lavoratori agricoli sfruttati: due a processo per caporalato 

A giudizio l’ex dirigente sportivo Ercole Di Nicola finito sotto accusa per la combine Teramo-Savona Con lui un cittadino del Bangladesh: per la Procura i braccianti pagati quaranta euro per otto ore

TERAMO. L’accusa contestata dalla Procura, e tutta ancora da dimostrare nel corso del processo, è pesante: si chiama caporalato, l’articolo 603 bis del codice penale che punisce con pene da uno a sei anni l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro.
Ed è una vicenda di presunto sfruttamento di braccianti provenienti dal Bangladesh quella per cui il gup del tribunale di Teramo Marco Procaccini ha rinviato a giudizio Ercole Di Nicola, 47enne di Morro d’Oro, che negli anni scorsi nella sua veste di ex dirigente sportivo dell’Aquila calcio è finito sotto accusa nel filone abruzzese dell’inchiesta “Dirty Soccer” sulla presunta combine della partita di calcio Savona-Teramo del 2015.
Con Di Nicola (difeso dall’avvocato Maurilio Prioreschi), è stato rinviato a giudizio anche Mohammed Shahjalal, cittadino del Bangladesch di 34 anni (assistito dall’avvocato Daniele Di Furia).
Secondo l’accusa Di Nicola, nella sua veste di amministratore di fatto di una società cooperativa agricola, e l’altro nella sua veste di intermediario dal 2021 al 2023 avrebbero sfruttato con salari bassi braccianti del Bangladesh «entrambi approfittando», si legge nella richiesta di rinvio a giudizio, «dello stato di bisogno dei lavoratori derivante dall’essere stranieri, non conoscere la lingua italiana e non avere il permesso di soggiorno». Così nella richiesta di rinvio a giudizio riguardante Di Nicola: «Quale amministratore di fatto della società cooperativa agricola assumeva ed utilizzava manodopera mediante l’intermediazione di Mohamed Shahjalal, corrispondeva ai lavoratori (otto quelli a cui si fa riferimento (ndr) un compenso di 40 euro ogni otto ore lavorative. Specificatamente utilizzava i lavoratori senza permesso di soggiorno senza sottoscrivere alcun contratto di lavoro ed assumeva quelli con permesso di soggiorno per un numero di ore inferiore rispetto a quelle effettivamente lavorate e corrispondeva la paga in contanti (per intero ai lavoratori senza contratto e solo per le ore ulteriori rispetto a quelle dichiarate a quelli contrattualizzati) versandola direttamente all’intermediario Mohamed Shahjalal che la consegnava ai lavoratori detraendo la parte a lui spettante per l’intermediazione operata».Secondo la Procura, infatti, Shahjalal, si legge sempre nel capo d’imputazione, «prelevava direttamente dai datori di lavoro le paghe versate in contanti (in alcune ipotesi la paga veniva versata parzialmente con bonifico al lavoratore e parzialmente in contanti nelle mani dell’intermediario), trattenendone una percentuale come suo compenso personale e consegnando la somma residua ai lavoratori; in tal modo i lavoratori percepivano una somma nettamente inferiore al minimo salariale netto, pari a 8,50 euro l’ora». Dagli atti si presume che i braccianti abbiano lavorato in condizioni di sfruttamento anche per altre società che sono rimaste fuori dall’indagine. Cinque i lavoratori parti offese che si sono costituiti parti civili. La prima udienza del processo è in programma a ottobre davanti al giudice monocratico.
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