GIULIANOVA / 2
Omicidio della pittrice, le accuse dell'altra figlia
Il racconto nell’ordinanza di arresto di Giuseppe e Simone Santoleri: "Mio fratello ha cercato di avvellenarla con il topicida nella minestra»
GIULIANOVA. La dinamica di un delitto prende forma da particolari che danno la direzione alle indagini. Perchè quelle 55 pagine di ordinanza che hanno messo un primo punto fermo all’omicidio della 64enne pittrice teatina Renata Rapposelli ,portando in carcere l’ex marito e figlio Giuseppe e Simone Santoleri, 67 e 43 anni, raccontano l’inferno. Come quella volta che, dice ai magistrati l’altra figlia di Renata e Giuseppe, il fratello Simone «che è un tipo molto violento, irascibile» avrebbe cercato di avvelenare la madre con del veleno per topi.
Scrive a pagina 30 dell’ordinanza il gip del tribunale di Ancona Carlo Cimini: «La donna ha poi riferito di un episodio «veramente spiacevole» raccontatole dalla madre verificatosi quando costei era andata a trovare Simone in occasione della nascita di sua figlia (nel 2010); in sostanza la Rapposelli le confidò che Simone aveva cercato di avvelenarla mettendole del veleno per topi nella minestra: assaggiandola si era accorta che aveva un sapore molto strano e ne aveva chiesto conto a Simone il quale le aveva detto di averci messo il veleno, commentando con macabro sarcasmo che «Non moriva nemmeno con il veleno dei topi». Un odio profondo che, insieme al movente economico dettato dalla paura di perdere la pensione del padre su cui già gravavano duecento euro di assegno di mantenimento alla madre, avrebbe portato Simone ad uccidere la madre per poi disfarsi del cadavere con la complicità del padre.
TENTATO SUICIDIO SIMULATO.Tra i tanti depistaggi che inquirenti e investigatori mettono in capo ai Santoleri ( dal finto viaggio in macchina fino a Loreto per riportare Renata alla creazione di falsi alibi) c’è quello del tentato suicidio di Giuseppe. Secondo gli investigatori quel 12 novembre dell’anno scorso, il giorno dopo il ritrovamento del cadavere della donna, «Giuseppe, con la complicità del figlio Simone, ha simulato un tentativo di suicidio proprio per ottenere il ricovero per sottrarsi all’interrogatorio». Scrive ancora il gip: «Poco prima del trasporto in ospedale è stato intercettato un colloquio tra i due, avvenuto sottovoce, nel corso del quale Giuseppe si mostrava preoccupato e diceva più volte che un atteggiamento del genere avrebbe peggiorato la situazione e che lui avrebbe rischiato di andare in galera. I due discutevano anche delle difficoltà che avrebbero potuto avere per ottenere un ricovero, tenuto conto che era domenica e non avevano alcuna prescrizione medica».
I PIZZINI DISTRUTTI.E sempre per dimostrare quelle che il gip chiama «le condotte ostruzionistiche» dei due, a pagina 36 dell’ordinanza parla di «pizzini» che padre e figlio usavano per comunicare durante il ricovero di Giuseppe in una casa di cura ascolana, nel mese di novembre. Gli incontri sono stati ripresi con una telecamera. «Dalle riprese», scrive il gip, «è emerso che Giuseppe e il figlio Simone, in occasione degli incontri, hanno fatto ricorso a modalità comunicative manifestamente volte ad impedire la loro intercettazione, verosimilmente non immaginando di essere anche ripresi. In particolare, oltre a comunicare parlandosi nell’orecchio e dopo aver alzato il volume del televisore, i due si sono scambiati veri e propri “pizzini” scritti da Simone che dopo averli fatti leggere al padre, li distruggeva prima di uscire dalla stanza. Si tratta di un atteggiamento di estrema prudenza che non ha alcun senso logico tra soggetti che non hanno nulla da nascondere».
ATTI A TERAMO. Il caso è passato per competenza territoriale da Ancona alla Procura di Teramo (ieri l’arrivo dei primi atti) che ha venti giorni di tempo per rinnovarli e chiedere al gip una nuova misura cautelare per i due.
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