l’omicidio di ripe
Parolisi: no, non è Melania quella descritta dal giudice
TERAMO. Guarda in faccia i perchè del suo ergastolo e agli avvocati ripete «no, questa non è Melania». Il caporal maggiore Salvatore Parolisi ha letto e riletto le sessanta pagine di motivazioni...
TERAMO. Guarda in faccia i perchè del suo ergastolo e agli avvocati ripete «no, questa non è Melania». Il caporal maggiore Salvatore Parolisi ha letto e riletto le sessanta pagine di motivazioni del giudice Marina Tommolini nella cella del carcere di Castrogno dove, dal 3 agosto del 2011, è rinchiuso con l’accusa di aver ucciso con 35 coltellate la moglie Melania Rea. Chiederà, visto che che il codice lo prevede, che il processo d’appello si svolga a porte aperte perchè, dice «io non ho ucciso». E a Federica Benguardato, (uno dei tre legali che l’assiste insieme a Valter Biscotti e Nicodemo Gentile) ripete : «in queste pagine non riconosco nè me stesso, nè lei. No Melania non era così, non era quella che viene descritta. Melania era affettuosa, dolce, comprensiva». L’omicidio diventato un caso giudiziario nazionale, rimbalzato nei salotti televisivi, originato fiumi di parole, diviso tra innocentisti e colpevolisti, nei prossimi mesi approderà davanti ai giudici della corte d’Appello dell’Aquila con il ricorso dei difensori. Il giudice Tommolini nelle sue motivazioni ipotizza un movente diverso sia da quelli dei due suoi colleghi gip che avevano ordinato la custodia cautelare per l’imputato, sia dal tribunale del Riesame che aveva confermato quella misura, sia dai magistrati della pubblica accusa. Secondo la Tommolini Parolisi ha ucciso la moglie perché lei gli ha negato un rapporto sessuale nella pineta di Ripe. Per questo giudice, a differenza di quanto ricostruito dalla procura, Parolisi, moglie e figlia quel 18 aprile del 2011 sarebbero andati a Colle San Marco e da qui poi avrebbero preso la strada per Ripe. In secondo grado la difesa del caporal maggiore annuncia battaglia. Per gli avvocati, infatti, dalle motivazioni emerge « un deserto probatorio e ci viene il sospetto che alla base della sentenza ci sia stata una preconvinzione del giudice, che ad essa ha piegato i fatti processuali. Il nostro codice prevede la condanna al di là di ogni ragionevole dubbio. Ma con il dubbio si assolve, invece il giudice Tommolini con il dubbio condanna». (d.p.)
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