Santoleri, condanne definitive: per la Cassazione hanno ucciso
I giudici hanno rigettato il ricorso per Simone e dichiarato inammissibile quello per Giuseppe Confermate le pene inflitte in Appello: il figlio dovrà scontare 27 anni di carcere e il padre 18
TERAMO. Le motivazioni diranno il perché. Per ora c’è un dispositivo con cui la Cassazione dichiara il rigetto totale del ricorso per Simone Santoleri e l’inammissibilità totale per quello del padre Giuseppe. I giudici della prima sezione della Suprema Corte confermano la sentenza d’Appello per il 49enne figlio e il 73enne ex marito di Renata Rapposelli, la 64enne pittrice originaria di Chieti assassinata: le due condanne sono definitive. Anche per gli Ermellini sono stati loro a uccidere la donna, a soffocarla e poi ad occultare il cadavere sulle sponde del fiume Chienti, nelle Marche.
Nel dicembre del 2021 i giudici d’appello avevano confermato la condanna a 27 anni per Simone Santoleri (24 per l’omicidio e tre per l’occultamento di cadavere) e ridotto da 24 a 18 quella per l’ex marito Giuseppe (16 per l’omicidio e 2 per l’occultamento di cadavere). Una differenza tra i due che i magistrati d’Appello avevano evidentemente deciso di rendere ancora più sostanziale rispetto al pronunciamento della Corte d’assise di primo grado: Giuseppe, durante un interrogatorio reso in carcere nel corso delle indagini preliminari, aveva sostenuto che a soffocare la ex moglie fosse stato il figlio Simone e che poi insieme si fossero disfatti del cadavere ritrovato dopo svariate settimane sulle sponde del fiume Chienti. Accusa sempre respinta dal figlio che ha tentato il suicidio prima nel carcere di Pescara ingerendo farmaci e successivamente anche nel carcere di Viterbo dove è stato prima di essere trasferito a Rebibbia . Per la Procura teramana (titolare del fascicolo il sostituto procuratore Enrica Medori) il 9 ottobre del 2017 la donna venne soffocata nell’abitazione di Giulianova dai due congiunti per questioni economiche e poi portata sulle sponde del fiume. Un omicidio d’impeto con un movente economico: così, in 103 pagine di motivazioni, i giudici di primo grado hanno spiegato il perché della condanna. Secondo questi magistrati, così nelle motivazioni della sentenza, «Giuseppe aveva maturato un’esposizione debitoria nei confronti della moglie e non aveva alcuna intenzione di adempiere. Simone aveva da tempo manifestato la volontà di far desistere la madre dal perseguimento delle somme dovute al marito a titolo di arretrati». Per i giudici di primo grado, inoltre, Simone avrebbe messo in atto una serie di depistaggi: «Va osservato che il tentativo di Simone di proporre, sin dalle indagini preliminari (ciò che conferma la lucidità dell’imputato nel depistaggio), uno scenario alternativo che coinvolge persona a lui molto legata costituisce esattamente un indizio a carico del prevenuto, in quanto lo sforzo profuso nell’allontanare da sé ogni sospetto fa trasparire la consapevolezza della gravità del litigio verificatosi nell’abitazione e l’enorme rilevanza di tale fatto ai fini della compiuta ricostruzione della vicenda».
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