TERAMO
Tarquini, campione a 56 anni: «Porto il mio Abruzzo nel cuore»
Il pilota automobilistico giuliese si racconta, dall’incontro con Ferrari all’amicizia con Schumacher: «Quando Enzo mi chiamò a Maranello ...»
TERAMO. Ci sono uomini e donne che non hanno paura di cadere perché sanno rialzarsi. Sempre. Gabriele Tarquini ha sorpreso il mondo quando a 56 anni ha vinto il campionato mondiale Wtcr di automobilismo al volante della sua Hyundai i30 N entrando nella storia dello sport. Il “Cinghio” ne ha fatta di strada da quando bambino sfrecciava sulla pista dei kart di papà Armando sognando le macchine della Formula Uno. Da Giulianova in giro per il mondo con il suo Abruzzo «nel cuore e nella testa». «Gentile e caparbio come ogni abruzzese doc» ti dice mentre lo raggiungi al telefono tra una gara e l’altra. Perché ci sono gesti e facce che non si dimenticano: lui che esulta dopo la vittoria di Macao dell’anno scorso riesce a fermare il tempo, a toccarci nel profondo come fanno solo le cose vere.
Come quando parla del suo Abruzzo «ferito dal terremoto che non si arrende», del suo amico Michael Schumacher «spero sempre di rivederlo», dell’incontro con Enzo Ferrari «una delle emozioni più forti mai provate». E di una vita «che non smette mai di sorprendermi». Così come quest’uomo dagli occhi che parlano prima delle parole non finisce di stupire gli altri.
Partiamo dall’ultima vittoria, quella a 56 anni. Un bel traguardo in uno sport come l’automobilismo. È stata una rivincita ?
«È stata una vittoria dal sapore dolcissimo perché queste cose si apprezzano molto di più quando c’è l’età. È stato un successo importante, una conferma personale, la prova che ce la faccio ancora. In questo momento della mia vita e della mia storia professionale non ho certamente il peso di guardare alla carriera e per questo le vittorie che arrivano hanno un sapore speciale. Quello della passione che è ancora tanta, tantissima, dell’amore per uno sport a cui ho dedicato la vita ma che mi ha dato davvero tanto a livello umano e professionale. L’età c’è e nessuno lo nega, ma mi sento ancora veloce e desideroso di vittorie. Non nego che ho fatto tanti sacrifici per tornare a questi livelli e sicuramente, fin quando potrò, continuerò a correre».
Nel 2015 la Honda, dopo moltissime stagioni, non le ha rinnovato il contratto per il campionato mondiale turismo. Aveva 53 anni ed era stato il miglior pilota Honda in classifica. Colpa dell’età?
«Con la Honda ho condiviso questa scelta di andare via a 53 anni. Era giusto cambiare e non ci sono state tensioni particolari. E’ stata una scelta che all’epoca anch’io ho condiviso. Ma oggi voglio dire che il tempo è sempre galantuomo e non nego che la vittoria di Macao abbia avuto anche il sapore di una piccola vendetta. Per carità piccola, piccolissima, ma dal sapore gradevolissimo».
Nel 1985, dopo la vittoria nel mondiale kart, l’incontro con Enzo Ferrari e un sogno che diventa realtà. Che ricordo ha di Ferrari?
«Ferrari mi volle conoscere, mi chiamò e ci incontrammo a Maranello. Quel giorno non lo dimenticherò mai non solo perché mi ha cambato la vita ma perché ho incontrato la storia in carne ed ossa. Andai a fare un test e mi tremavano veramente le gambe. Lui però, come tutti i grandi, riuscì a mettermi a mio agio in brevissimo tempo. Ricordo che dopo la prova e la Formula Uno parlammo di Giulianova e di Pescara. Ferrari conosceva bene Giulianova perché il papà era il titolare dell’azienda che aveva fatto la tettoia in ferro della stazione ferroviaria. E lui ricordava che il giorno dell’installazione era venuto a Giulianova con il papà ad aiutarlo proprio nel montaggio di quella tettoia che è ancora lì. Ma conosceva anche Pescara per la corsa del chilometro lanciato. Parlammo molto dell’Abruzzo e pensi come può stare un ragazzo che vuole fare il pilota automobilistico mentre ha di fronte Ferrari che gli racconta la sua vita e che gli apre le porte di un mondo fantastico».
Tra i tanti incontri della sua vita quello con Schumacher. Una foto che le è molto cara vi ritrae insieme, sorridenti e lontano dalle gare.
«Michael ha fatto parte della mia vita al di fuori delle corse. Ci ha legato sin da subito una forte empatia, un grande rigore nel fare delle cose e molto anche la passione per il calcio. Siamo stati entrambi soci fondatori della nazionale piloti di calcio e insieme abbiamo portato avanti numerose manifestazioni di solidarietà, di raccolta fondi. Il Michael che conosco io, oltre ad essere un grande campione, è un uomo con un cuore grandissimo sempre pronto ad aiutare gli altri. E forse questo suo aspetto, proprio perché lui non amava mai parlarne, è conosciuto molto poco. Quando si è trattato di fare raccolte di fondi lui non è mai tirato indietro. Di lui ho un ricordo fantastico che serbo stretto nel mio cuore. È un uomo che non si è mai arreso, che ha sempre lottato per conquistare tutto quello che la vita gli ha dato e io spero sempre di rivederlo. Magari durante una corsa».
Ha mai pensato di smettere di correre?
«Nel 2009 a Macao vinsi il titolo mondiale del Wtcc (il campionato del mondo turismo (ndr). Un traguardo importantissimo e allora ero convinto che avrei smesso di correre. Lo avevo detto solo a mia moglie. Poi ci fu la premiazione e quel sapore dolce della vittoria, quella voglia di continuare perché capii che avrei potuto dare ancora qualcosa e allora decisi di non smettere, di andare avanti. Oggi sono ancora qui e fin quando il fisico regge vado avanti sorretto sempre da una passione infinita».
Lei porta in giro nel mondo il suo essere abruzzese ricordando sempre con orgoglio la sua terra. Cosa manca oggi all’Abruzzo?
«In Abruzzo non mancherebbe nulla. E’ una terra fantastica che, soprattutto dal punto di vista delle bellezze naturali, non ha nulla da invidiare ad altre terre. Una montagna splendida, un mare pulito: tutto a pochi chilometri di distanza. A noi abruzzesi ci manca di credere in noi stessi e forse mancano dei rappresentanti politici che abbiano l’orgoglio di fare qualcosa per l’Abruzzo, di fare di più per valorizzare l’immagine di una terra fantastica. Ma penso che dovremmo essere innanzituto noi a credere di più nelle nostre potenzialità».
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