Il giudice Enrico Pompei

Teramo, evade l’Iva per pagare i suoi operai: assolto

Il caso di un imprenditore teramano che non ha versato 300mila euro per salvaguardare i lavoratori. La sentenza: «Il fatto non costituisce reato»

TERAMO. È in quell’«aver deciso di salvaguardare soprattutto i lavoratori» che una sentenza di assoluzione racconta una scelta di vita. Come quella dell’ennesimo imprenditore teramano travolto dalla crisi che tra il pagare i suoi trenta dipendenti o versare 300mila euro di Iva ha scelto la prima cosa. Violando una legge e finendo, come tanti suoi colleghi, davanti ad un giudice che lo ha assolto «perché il fatto non costituisce reato». Va detto che dal 2016, a seguito di un pronunciamento della Cassazione a sezioni unite, è stato stabilito che la soglia di evasione dell’Iva oltre la quale scatta il reato è di 250mila euro. Perché anche il rigore del codice si piega all’incidenza di una crisi che non passa. Ma i tempi della giustizia non sono mai quelli della vita reale: da quei fatti sono trascorsi otto anni e nel frattempo l’azienda siderurgica dell’imprenditore teramano (assistito dall’avvocato Gabriella Recchiuti) è fallita dopo che lo stesso proprietario ha portato tutto in tribunale.
Scrive nella sentenza il giudice Enrico Pompei: «E’ emerso in dibattimento che il mancato versamento è dipeso dalla grave crisi di liquidità in cui si è trovata la società è dipesa essenzialmente dalla mancata riscossione dei crediti maturati. Questo giudice ha potuto valutare le attività svolte dal prevenuto per gestire tale situazione nonché l’ordine di priorità delle scelte che lo stesso ha dato nei confronti degli adempimenti a cui era tenuto, decidendo comunque di adempiere agli obblighi retributivi e contributivi nei confronti dei propri dipendenti. La complessiva situazione finanziaria di fatto in cui versava l’azienda, pertanto, induce a ritenere che abbia voluto salvaguardare innanzitutto i lavoratori malgrado la mancata disponibilità di denaro derivante dall’inadempimento di terzi. Non risulta provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, il dolo dell’imputato nemmeno nella forma eventuale». Secondo il giudice, dunque, dietro il mancato versamento dell’Iva non c’è stato dolo, ovvero la volontà di tenersi i soldi in tasca o nelle casse dell’azienda, ma l’impossibilità di farlo. E’ mancato quello che, per il codice, è l’elemento psicologico del reato: in questo caso la volontarietà dell’omissione. La sentenza segue le tante altre già emesse dal tribunale teramano in questa direzione e rientra nell’ambito di un filone giurisprudenziale che si va ormai consolidando e che trae linfa da recenti pronunciamenti della Cassazione. In più occasioni, infatti, i giudici della Suprema corte hanno sentenziato la necessità «di valutare il contesto economico e finanziario in cui ci si muove».
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