Teramo, magistrato scrive: «Avvocati capre»: non è diffamazione

Giudice censurato vince il ricorso in Cassazione: «La manifestazione di pensiero di un magistrato (...) non cessa di costituire espressione di una libertà costituzionale»

TERAMO. Dare delle capre agli avvocati non è reato. Così ha stabilito la Cassazione (sezioni unite) nell’accogliere il ricorso di un magistrato del tribunale di Teramo contro una sanzione inflitta dalla sezione disciplinare del Csm. Si tratta di fatti risalenti al 2014 e nati dall’allora segnalazione del consiglio dell’ordine degli avvocati di Teramo.

Sotto accusa era finita la frase che il magistrato aveva scritto nell’ambito di un forum di discussione on line sull’andamento complessivo della giustizia. «Come se l’intera avvocatura, senza distinguere tra avvocati preparati e validi e vere e proprie capre», erano le parole incriminate, «fosse la vittima innocente di un sistema nazifascista, despota ed autoreferenziale, che non lascia loro diritti nè spazi operativi». Per gli Ermellini non c’è nessuna diffamazione perchè l’espressione non è rivolta a qualcuno di identificabile visto che, sottolineano nella sentenza, il reato di diffamazione postula «l’individuazione del soggetto passivo dell’offesa».

La sezione disciplinare del Csm aveva applicato nei confronti del magistrato la sanzione della censura. Provvedimento disciplinare che il magistrato aveva impugnato davanti alla Cassazione sostenendo, soprattutto «l’illogicità della motivazione». A marzo, con la sentenza numero 6965, i giudici della Suprema corte hanno accolto il ricorso annullando la sanzione. «Nella giurisprudenza delle sezioni penali di questa corte», si legge a pagina 6 della sentenza, «si è affermato il principio per cui il reato di diffamazione è costituito dall’offesa alla reputazione di una persona determinata e non può essere, quindi, ravvisato nel caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria anche limitata se le persone cui le frasi si riferiscono non sono individuabili. Orbene la sezione disciplinare ha ritenuto che le espressioni utilizzate dalla ricorrente in occasione del suo intervento sul blog integrassero il delitto di diffamazione, desumendo la possibilità di individuare i destinatari delle espressioni stesse negli avvocati del foro di Teramo dalla lettera con la quale il presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati aveva lamentato «un ingiustificato attacco ai propri appartenenti».

Ma, sostengono gli Ermellini, «così argomentando, peraltro, la sezione disciplinare, pur rilevando che l’offesa era rivolta in incertam personam, si è discostata dal richiamato consolidato principio, rinvenendo nelle dette espressioni, rivolte in modo indistinto ad alcuni non identificati, nè altrimenti identificabili avvocati appartenenti al locale consiglio dell’ordine un’attitudine diffamatoria nei confronti dell’intero ordine degli avvocati di Teramo». I giudici della Suprema corte, inoltre, nella sentenza hanno ribadito che: «La manifestazione di pensiero di un magistrato, anche allorquando abbia ad oggetto opinioni relative a temi inerenti all’organizzazione di un ufficio giudiziario e al suo funzionamento, ovvero al comportamento dei soggetti in quell’ufficio operanti, e sempre che la manifestazione del pensieri non si espliciti attraverso riferimenti individualizzanti, non cessa di costituire espressione di una libertà costituzionale, che la stessa sezione disciplinare ritiene esercitabile anche dai magistrati, e non diventa esercizio di funzione giurisdizionale».

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