Carcere, tre metri per ogni recluso
In 400 rinchiusi come sardine, oltre cento malati di aids e psichiatrici
TERAMO. «Spenga il cellulare, dall’inferno non si telefona». Ore 9 di ieri, il carcere di Teramo è avvolto dalla nebbia. La porta blindata si chiude alle spalle e fa un rumore sordo. Al di là del vetro un agente ordina di depositare il telefonino, diffida a scattare fotografie e ripete: «Sono solo, mandatemi qualcuno in appoggio».
Al di qua c’è la fila. Ci sono il clan rom di Sante Spinelli, lo zingaro arrestato per l’omicidio di Alba; l’avvocato teramano Nello Di Sabatino e una donna che chiede di incontrare Ivano Cocciadiferro, personaggio pescarese legato al mondo dello spaccio. Dieci anni fa evitò il carcere perché diceva di soffrire di claustrofobia. Ora è al Castrogno, dove 400 detenuti vivono in stanze di otto metri quadrati, due dei quali sono occupati da bagni con pareti di cartongesso senza manutenzione da dieci anni.
L’odore dev’essere nauseabondo, d’estate è insopportabile. I detenuti gettano dalle finestre i rifiuti organici. Ma non c’è un euro per fare le pulizie, neppure per acquistare la carte per la fotocopiatrice, persino la carta igienica è finita. Nessuno, qui dentro, però può dirlo. Se un agente parla rischia un procedimento discliplinare. Se racconta che l’appalto delle pulizie non è più stato fatto, che a pulire il carcere, grande come un ospedale, ci sono solo due persone che non hanno i detersivi e che sotto le finestre dei detenuti i cumuli di rifiuti marciscono da mesi, rischia di essere sospeso.
La porta d’ingresso si chiude, l’agente ripete: «Sono solo, mandatemi un appoggio», la rom Spinelli deposita un euro e 20 centesimi come cauzione per la chiave dell’armadietto dove le zingare, arrivate con due bimbi di 4 e 5 anni, lasciano anelli e collane d’oro, e dall’altra porta entra un graduato: «Niente foto», dice, «cancelli subito quelle che ha fatto. Niente visita ai reclusi, niente domande agli agenti».
E’ un clima teso quello che si respira al Castrogno: il carcere dello scandalo del pestaggio al detenuto, del cd anonimo finito su tutti i giornali d’Italia e del comandante delle guardie sospeso, Giuseppe Luzi, che nel cd dice a un subalterno: «I detenuti li devi massacrare in sezione».
Ma nessuno parla dell’ex comandante, né dice che le guardie carcerarie sono 184 sulla carta, ridotte a 110 per permessi, ferie e malattie, contro 400 detenuti, il doppio di quelli che Castrogno può contenere. Nessuno può rivelare che nelle quattro sezioni sono rinchiusi 60 sieropositivi insieme a 50 malati psichiatrici, tutti a rischio di gesti autolesionistici.
Il carcere è al gelo, il riscaldamento è acceso poche ore di mattina, poi lo spengono perché i soldi sono finiti.
Metà dei padiglioni è coperta d’amianto, d’inverno si vive al gelo, d’estate sembra un braciere. I vetri rotti non vengono sostituiti. E 100 stanze, prima occupate dagli agenti, ora sono vuote. Ma i detenuti vivono dall’altra parte, stretti come sardine, e la tensione è cresciuta per mesi. Cinque aggressioni agli agenti, un recluso pestato, finché non è arrivato il nuovo commissario, Sabatino De Bellis, che ripete: «Le regole vanno rispettate. Occorre rigore».
«Ora può entrare, la faccio accompagnare al bar. Attenda lì», dice il graduato. La scala interna del padiglione centrale è buia, sembra di stare in montagna con la maglietta di cotone. Il pavimento del bar è una lastra di linoleum marcia, i termosifoni sono gelidi, su una colonna sono appese le foto degli agenti morti, chi per incidente stradale chi per tumore, su un’altra colonna c’è l’unico messaggio che dà un senso di umanità: «Il 13 dicembre pranzo alla fattoria Rurabilandia, costo 20 euro». E’ la fattoria di Atri dove i detenuti lavorano insieme ai disabili in un programma di riabilitazione. Ma qui, nel carcere che sembra un pollaio, è difficile riabilitarsi. In un qualunque momento può esplodere la rabbia.
Ciascun detenuto vive in 6 metri quadrati, anzi in 3 metri perché in ogni cella ci sono due reclusi. Dormono su letti a castello, in alcune stanze i posti sono persino tre ed è come passare la vita in un ascensore. Ma anche in questo caso non può trapelare nulla. Così come non si deve sapere che l’ambulatorio dentistico è rimasto rotto per due anni e che ora che l’hanno riparato non funziona perché la Asl non ha soldi.
Gli agenti non parlano, non possono dire che per coprire i turni quando si è meno della metà dell’organico saltano i riposi e fai lo straordinario che non verrà mai pagato. Nessuno deve sapere che dei sei psicologi previsti ce ne sono solo due a tempo pieno per 400 detenuti. E che il parlatorio è una stanza di dieci metri per due con sette sedie da una parte e sette dall’altra, senza divisori, dove storie disperate si incontrano e non hanno più segreti.
Al di qua c’è la fila. Ci sono il clan rom di Sante Spinelli, lo zingaro arrestato per l’omicidio di Alba; l’avvocato teramano Nello Di Sabatino e una donna che chiede di incontrare Ivano Cocciadiferro, personaggio pescarese legato al mondo dello spaccio. Dieci anni fa evitò il carcere perché diceva di soffrire di claustrofobia. Ora è al Castrogno, dove 400 detenuti vivono in stanze di otto metri quadrati, due dei quali sono occupati da bagni con pareti di cartongesso senza manutenzione da dieci anni.
L’odore dev’essere nauseabondo, d’estate è insopportabile. I detenuti gettano dalle finestre i rifiuti organici. Ma non c’è un euro per fare le pulizie, neppure per acquistare la carte per la fotocopiatrice, persino la carta igienica è finita. Nessuno, qui dentro, però può dirlo. Se un agente parla rischia un procedimento discliplinare. Se racconta che l’appalto delle pulizie non è più stato fatto, che a pulire il carcere, grande come un ospedale, ci sono solo due persone che non hanno i detersivi e che sotto le finestre dei detenuti i cumuli di rifiuti marciscono da mesi, rischia di essere sospeso.
La porta d’ingresso si chiude, l’agente ripete: «Sono solo, mandatemi un appoggio», la rom Spinelli deposita un euro e 20 centesimi come cauzione per la chiave dell’armadietto dove le zingare, arrivate con due bimbi di 4 e 5 anni, lasciano anelli e collane d’oro, e dall’altra porta entra un graduato: «Niente foto», dice, «cancelli subito quelle che ha fatto. Niente visita ai reclusi, niente domande agli agenti».
E’ un clima teso quello che si respira al Castrogno: il carcere dello scandalo del pestaggio al detenuto, del cd anonimo finito su tutti i giornali d’Italia e del comandante delle guardie sospeso, Giuseppe Luzi, che nel cd dice a un subalterno: «I detenuti li devi massacrare in sezione».
Ma nessuno parla dell’ex comandante, né dice che le guardie carcerarie sono 184 sulla carta, ridotte a 110 per permessi, ferie e malattie, contro 400 detenuti, il doppio di quelli che Castrogno può contenere. Nessuno può rivelare che nelle quattro sezioni sono rinchiusi 60 sieropositivi insieme a 50 malati psichiatrici, tutti a rischio di gesti autolesionistici.
Il carcere è al gelo, il riscaldamento è acceso poche ore di mattina, poi lo spengono perché i soldi sono finiti.
Metà dei padiglioni è coperta d’amianto, d’inverno si vive al gelo, d’estate sembra un braciere. I vetri rotti non vengono sostituiti. E 100 stanze, prima occupate dagli agenti, ora sono vuote. Ma i detenuti vivono dall’altra parte, stretti come sardine, e la tensione è cresciuta per mesi. Cinque aggressioni agli agenti, un recluso pestato, finché non è arrivato il nuovo commissario, Sabatino De Bellis, che ripete: «Le regole vanno rispettate. Occorre rigore».
«Ora può entrare, la faccio accompagnare al bar. Attenda lì», dice il graduato. La scala interna del padiglione centrale è buia, sembra di stare in montagna con la maglietta di cotone. Il pavimento del bar è una lastra di linoleum marcia, i termosifoni sono gelidi, su una colonna sono appese le foto degli agenti morti, chi per incidente stradale chi per tumore, su un’altra colonna c’è l’unico messaggio che dà un senso di umanità: «Il 13 dicembre pranzo alla fattoria Rurabilandia, costo 20 euro». E’ la fattoria di Atri dove i detenuti lavorano insieme ai disabili in un programma di riabilitazione. Ma qui, nel carcere che sembra un pollaio, è difficile riabilitarsi. In un qualunque momento può esplodere la rabbia.
Ciascun detenuto vive in 6 metri quadrati, anzi in 3 metri perché in ogni cella ci sono due reclusi. Dormono su letti a castello, in alcune stanze i posti sono persino tre ed è come passare la vita in un ascensore. Ma anche in questo caso non può trapelare nulla. Così come non si deve sapere che l’ambulatorio dentistico è rimasto rotto per due anni e che ora che l’hanno riparato non funziona perché la Asl non ha soldi.
Gli agenti non parlano, non possono dire che per coprire i turni quando si è meno della metà dell’organico saltano i riposi e fai lo straordinario che non verrà mai pagato. Nessuno deve sapere che dei sei psicologi previsti ce ne sono solo due a tempo pieno per 400 detenuti. E che il parlatorio è una stanza di dieci metri per due con sette sedie da una parte e sette dall’altra, senza divisori, dove storie disperate si incontrano e non hanno più segreti.