De Mita: «La politica vera da risposte ai cittadini»
Il leader Udc candidato a Bruxelles: l’Europa conta, in Italia il bipolarismo è finito.
PESCARA.Ciriaco De Mita, 81 anni, leader storico della Dc è in corsa per le elezioni europee 2009 come capolista dell’Udc nella circoscrizione Sud di cui fa parte anche l’Abruzzo. Esponente di rango della politica nazionale De Mita non rinuncia a dare valutazioni sul Pd e su Berlusconi. Presidente, siamo alla fine di una strana campagna elettorale durante la quale si è parlato pochissimo di Europa e molto degli affari privati del premier Berlusconi, non crede?
«E’ vero, la questione europea non è al centro dell’interesse della gente. Ma per due ragioni: la prima è per la difficoltà della proposta, perchè essendo il problema vero dell’Europa quello dell’integrazione, su questo tema i governi sono incerti. La seconda questione è che l’Europa si è ridotta a una distribuzione di finanziamenti, cosa che interessa relativamente l’opinione pubblica, perché in fondo si tratta di transazioni. Quindi leggo la poca attenzione dell’opinione pubblica non come una distrazione, ma come un giudizio severo, un’opinione critica».
Il rimedio?
«La risposta sarebbe accelerare l’unità dell’Europa, ma i governi sono troppo attenti al proprio particolare».
C’è dunque da attendersi una crescita dell’astensionismo?
«Da quello che capisco c’è una diminuita attenzione anche a livello locale, perché con una campagna elettorale fatta su un fenomeno di costume, la politica ha dimostrato di toccare il fondo. Ma, badi bene, non si tratta di un episodio casuale ma della fine di un lungo ciclo. Ci siamo illusi che personalizzare la politica fosse la via d’uscita. Non è così. L’opinione pubblica l’ha capito perché è più avanti della politica».
La fine di questo ciclo è anche la fine del bipartitismo, o del bipersonalismo come lei l’ha definito?
«L’Europa continentale non ha una tradizione bipartitica: è un provincialismo da sprovveduti importare modelli che non coincidono con la nostra storia. Nel caso dell’Italia abbiamo assistito a un duello personale nel quale uno dei due duellanti è subito scomparso, semplicemente perché si è rivelato un giocatore d’azzardo».
Dunque il progetto dell’Unione di Centro al quale lei ha aderito va nella direzione di questo cambiamento che lei auspica?
«Andando in giro sono stato piacevolmente sorpreso dall’attenzione sulla ripresa di una cultura...vede, le storie continuano e hanno memoria».
Si riferisce alla cultura democristiana, naturalmente.
«Sì ma questo non significa che immaginiamo che recuperando la grande tradizione della Dc rimettiamo al punto di partenza il sistema politico. La politica è fatta di progettualità, di speranze, credo che il futuro equilibrio politico sia più sulle alleanze tra partiti diversi che sulla semplificazione. Mio nonno diceva che quando una cosa complessa sembra facile allora vuol dire che non l’hai capita».
Molti osservatori si aspettano una diaspora cattolica dal Pd dopo il voto del 6 e 7 giugno, è d’accordo?
«Penso che ci sia già un movimento percepibile, lo avverto da parecchie parti, ma più che di cattolici parlerei di democristiani, è più preciso. Una volta gli ex democristiani stavano insieme per litigare, adesso, e questo l’ho notato anche in Abruzzo, c’è un ripensamento e si cerca di recuperare la memoria di una grande storia».
Con quale progetto?
«Oggi si governa per spot, la politica si è ridotta a una transazione, una volta la domanda partiva dal popolo: dobbiamo tornare a quella politica, dobbiamo intercettare quelle domande».
Come giudica l’intervento del governo dopo il terremoto in Abruzzo?
Al di là dell’intervento immediato, so per esperienza che ci devono essere due condizioni: la prima è la circoscrizione del perimetro del terremoto, indispensabile, perché se il perimetro si allarga troppo le risorse diventano insufficienti. L’altro è la programmazione, che deve rispondere a due requisiti: evitare una fretta senza ragione, evitare un rinvio all’infinito. Ma credo che non siamo ancora nelle condizioni di definire se questi criteri sono rispettati».
«E’ vero, la questione europea non è al centro dell’interesse della gente. Ma per due ragioni: la prima è per la difficoltà della proposta, perchè essendo il problema vero dell’Europa quello dell’integrazione, su questo tema i governi sono incerti. La seconda questione è che l’Europa si è ridotta a una distribuzione di finanziamenti, cosa che interessa relativamente l’opinione pubblica, perché in fondo si tratta di transazioni. Quindi leggo la poca attenzione dell’opinione pubblica non come una distrazione, ma come un giudizio severo, un’opinione critica».
Il rimedio?
«La risposta sarebbe accelerare l’unità dell’Europa, ma i governi sono troppo attenti al proprio particolare».
C’è dunque da attendersi una crescita dell’astensionismo?
«Da quello che capisco c’è una diminuita attenzione anche a livello locale, perché con una campagna elettorale fatta su un fenomeno di costume, la politica ha dimostrato di toccare il fondo. Ma, badi bene, non si tratta di un episodio casuale ma della fine di un lungo ciclo. Ci siamo illusi che personalizzare la politica fosse la via d’uscita. Non è così. L’opinione pubblica l’ha capito perché è più avanti della politica».
La fine di questo ciclo è anche la fine del bipartitismo, o del bipersonalismo come lei l’ha definito?
«L’Europa continentale non ha una tradizione bipartitica: è un provincialismo da sprovveduti importare modelli che non coincidono con la nostra storia. Nel caso dell’Italia abbiamo assistito a un duello personale nel quale uno dei due duellanti è subito scomparso, semplicemente perché si è rivelato un giocatore d’azzardo».
Dunque il progetto dell’Unione di Centro al quale lei ha aderito va nella direzione di questo cambiamento che lei auspica?
«Andando in giro sono stato piacevolmente sorpreso dall’attenzione sulla ripresa di una cultura...vede, le storie continuano e hanno memoria».
Si riferisce alla cultura democristiana, naturalmente.
«Sì ma questo non significa che immaginiamo che recuperando la grande tradizione della Dc rimettiamo al punto di partenza il sistema politico. La politica è fatta di progettualità, di speranze, credo che il futuro equilibrio politico sia più sulle alleanze tra partiti diversi che sulla semplificazione. Mio nonno diceva che quando una cosa complessa sembra facile allora vuol dire che non l’hai capita».
Molti osservatori si aspettano una diaspora cattolica dal Pd dopo il voto del 6 e 7 giugno, è d’accordo?
«Penso che ci sia già un movimento percepibile, lo avverto da parecchie parti, ma più che di cattolici parlerei di democristiani, è più preciso. Una volta gli ex democristiani stavano insieme per litigare, adesso, e questo l’ho notato anche in Abruzzo, c’è un ripensamento e si cerca di recuperare la memoria di una grande storia».
Con quale progetto?
«Oggi si governa per spot, la politica si è ridotta a una transazione, una volta la domanda partiva dal popolo: dobbiamo tornare a quella politica, dobbiamo intercettare quelle domande».
Come giudica l’intervento del governo dopo il terremoto in Abruzzo?
Al di là dell’intervento immediato, so per esperienza che ci devono essere due condizioni: la prima è la circoscrizione del perimetro del terremoto, indispensabile, perché se il perimetro si allarga troppo le risorse diventano insufficienti. L’altro è la programmazione, che deve rispondere a due requisiti: evitare una fretta senza ragione, evitare un rinvio all’infinito. Ma credo che non siamo ancora nelle condizioni di definire se questi criteri sono rispettati».