Gullotta, il piacere dell’onestà
L’attore protagonista allo Spoltore Ensemble: nessun silenzio sull’Abruzzo.
«Il terremoto in Abruzzo? Bisogna continuare a parlarne, sempre. Al di là delle passeggiate dei politici. Dietro il finto silenzio mediatico e politico ci sono problemi messi da parte, bisogni di gente che vive una fase terribile della propria vita, persone a cui è stato detto poco e niente da chi governa. Non capisco perché i sindaci del comuni colpiti dal terremoto non possano fare parte di una commissione per l’assegnazione degli appalti per la ricostruzione».
Leo Gullotta si accende come un fiammifero di fronte ai temi della solidarietà e della condizione degli svantaggiati.
«Ho sempre amato l’Abruzzo e ho accettato immediatamente l’invito del Tsa (Teatro stabile d’Abruzzo ndc) per portare in scena, quest’inverno, “Il piacere dell’onestà” di Pirandello. Di fronte a queste urgenze bisogna essere in prima fila, innanzitutto a livello umano, ed eventualmente artistico», racconta al Centro l’attore catanese che, domenica scorsa, ha aperto la sezione prosa della 27ª edizione di Spoltore Ensemble con «Minnazza», il suo nuovo spettacolo per voce solista su prose e liriche siciliane antiche e moderne, che ha fatto il tutto esaurito in piazza del Convento. La colonna sonora è composta dal musicista abruzzese Germano Mazzocchetti per tre maestri fisarmonicisti (Fabio Ceccarelli, Denis Negroponte, Romano Quartucci) che hanno accompagnato l’attore in scena con la regia di Fabio Grossi. Uno spettacolo in cui è la musica a scandire le stazioni del viaggio, esaltando gli scritti, tra gli altri, di Ciullo d’Alcamo, Giovanni Meli, Tomasi di Lampedusa, Luigi Pirandello, Giovanni Verga, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Leonardo Sciascia, Pippo Fava, Ignazio Buttitta e Andrea Camilleri.
Gullotta, lei ha defininito lo spettacolo «un volo radente sulla letteratura italiana attraverso penne siciliane, spesso dimenticate dalla società. Invito ad una riflessione sulla società odierna e sul coraggio civile». Ma che significa «Minnazza»?
«“Minnazza” in siciliano è il grande seno. Quello che si dà ai bambini per nutrirli. In questo caso l’arte come nutrimento, in un momento storico in cui il cinismo individuale è immagine di status, in una società dove dovrebbe contare più essere che apparire. “Minnazza” prende spunto dall’immagine antica della madre Terra, la grande madre. E’ un racconto sonoro che si snoda dalle origini della letteratura dell’Isola dei Ciclopi, fino ai nostri giorni. Un viaggio tra i miti e il quotidiano, tra il sorriso e la denuncia civile».
Perché la scelta delle fisarmoniche per accompagnare lo spettacolo?
«La fisarmonica esprime richiamo alla terra e al mondo contadino. E’ una sonorità nostra, italiana per eccellenza, e ci ricorda che siamo un popolo di emigranti. Con quella sonorità gioiosa e malinconica, la fisarmonica ha la capacità di raccontare i sentimenti, la sofferenza di chi è emigrato dalla propria terra, come gli italiani che in Argentina hanno dato vita al tango, struggente e immortale. La sonorità è protagonista in questo spettacolo; le scene molto scarne per rispetto delle location dei teatri antichi dove lo stiamo portando».
Come giudica la proposta del ministro leghista dell’agricoltura, LucaZaia, che le fiction Rai di grande ascolto vadano in onda con sottotitoli, tipo «Il commissario Montalbano» in siciliano?
«Una trovata estiva. Nella Lega dicono sempre cose di cui sorridere. Forse non rammentano che siamo nel 2009».
Il suo sguardo sull’Italia di oggi è pessimista?
«Faccio questo mestiere da 47 anni e ne ho 63, perciò voglio essere ottimista. Nelle pagine scritte possiamo riprenderci i cassetti dell’anima, che nessuno ci incoraggia a coltivare e conservare. Ma non bisogna mai abbassare la guardia, avere coraggio civile e responsabilità».
L’esperienza con la compagnia del Bagaglino - che qualcuno definisce qualunquista - è stata utile per lei?
«Fuori di ogni dubbio si tratta di una scuola professionale per quel genere di spettacolo. Posso comprendere il motivo per il quale la si definisce qualunquista, ma non è affar mio giudicare. Il pubblico può condividere, o meno, una storia ultraventennale nel Varietà, cosa che non trovo nei programmi televisivi, accozzaglia di barzellette e indovinelli da villaggio turistico. In quanto attore, io mi offro a tutti i linguaggi dello spettacolo».
Cosa pensa della satira di oggi in Italia?
«La satira è sempre esistita a guardia contro il potere, per mostrare che il re è nudo. Ma è la cultura a essere importante, sempre. Se il mercato deve offrire di tutto e il governo taglia il Fondo unico per lo spettacolo, è chiaro che il livello della cultura si abbassa. Questo governo non ama la cultura né vuole la ricerca, e non sostiene l’università. Questo è il Paese dell’arte di arrangiarsi. Ammiro i giovani che vogliono capire, porsi domande. Ma i giornali preferiscono raccontare che i giovani sono soltanto problematici».
La sua omosessualità ha condizionato in qualche modo la sua carriera?
«No. E, anche se così fosse stato, non mi sarei fermato. Nessuno può influenzare le mie scelte artistiche e personali. Invece, se fossi stato un mafioso, un camorrista, o un politico truffatore ai danni dei cittadini, quello sì, che certamente mi avrebbe condizionato».
Leo Gullotta si accende come un fiammifero di fronte ai temi della solidarietà e della condizione degli svantaggiati.
«Ho sempre amato l’Abruzzo e ho accettato immediatamente l’invito del Tsa (Teatro stabile d’Abruzzo ndc) per portare in scena, quest’inverno, “Il piacere dell’onestà” di Pirandello. Di fronte a queste urgenze bisogna essere in prima fila, innanzitutto a livello umano, ed eventualmente artistico», racconta al Centro l’attore catanese che, domenica scorsa, ha aperto la sezione prosa della 27ª edizione di Spoltore Ensemble con «Minnazza», il suo nuovo spettacolo per voce solista su prose e liriche siciliane antiche e moderne, che ha fatto il tutto esaurito in piazza del Convento. La colonna sonora è composta dal musicista abruzzese Germano Mazzocchetti per tre maestri fisarmonicisti (Fabio Ceccarelli, Denis Negroponte, Romano Quartucci) che hanno accompagnato l’attore in scena con la regia di Fabio Grossi. Uno spettacolo in cui è la musica a scandire le stazioni del viaggio, esaltando gli scritti, tra gli altri, di Ciullo d’Alcamo, Giovanni Meli, Tomasi di Lampedusa, Luigi Pirandello, Giovanni Verga, Elio Vittorini, Vitaliano Brancati, Leonardo Sciascia, Pippo Fava, Ignazio Buttitta e Andrea Camilleri.
Gullotta, lei ha defininito lo spettacolo «un volo radente sulla letteratura italiana attraverso penne siciliane, spesso dimenticate dalla società. Invito ad una riflessione sulla società odierna e sul coraggio civile». Ma che significa «Minnazza»?
«“Minnazza” in siciliano è il grande seno. Quello che si dà ai bambini per nutrirli. In questo caso l’arte come nutrimento, in un momento storico in cui il cinismo individuale è immagine di status, in una società dove dovrebbe contare più essere che apparire. “Minnazza” prende spunto dall’immagine antica della madre Terra, la grande madre. E’ un racconto sonoro che si snoda dalle origini della letteratura dell’Isola dei Ciclopi, fino ai nostri giorni. Un viaggio tra i miti e il quotidiano, tra il sorriso e la denuncia civile».
Perché la scelta delle fisarmoniche per accompagnare lo spettacolo?
«La fisarmonica esprime richiamo alla terra e al mondo contadino. E’ una sonorità nostra, italiana per eccellenza, e ci ricorda che siamo un popolo di emigranti. Con quella sonorità gioiosa e malinconica, la fisarmonica ha la capacità di raccontare i sentimenti, la sofferenza di chi è emigrato dalla propria terra, come gli italiani che in Argentina hanno dato vita al tango, struggente e immortale. La sonorità è protagonista in questo spettacolo; le scene molto scarne per rispetto delle location dei teatri antichi dove lo stiamo portando».
Come giudica la proposta del ministro leghista dell’agricoltura, LucaZaia, che le fiction Rai di grande ascolto vadano in onda con sottotitoli, tipo «Il commissario Montalbano» in siciliano?
«Una trovata estiva. Nella Lega dicono sempre cose di cui sorridere. Forse non rammentano che siamo nel 2009».
Il suo sguardo sull’Italia di oggi è pessimista?
«Faccio questo mestiere da 47 anni e ne ho 63, perciò voglio essere ottimista. Nelle pagine scritte possiamo riprenderci i cassetti dell’anima, che nessuno ci incoraggia a coltivare e conservare. Ma non bisogna mai abbassare la guardia, avere coraggio civile e responsabilità».
L’esperienza con la compagnia del Bagaglino - che qualcuno definisce qualunquista - è stata utile per lei?
«Fuori di ogni dubbio si tratta di una scuola professionale per quel genere di spettacolo. Posso comprendere il motivo per il quale la si definisce qualunquista, ma non è affar mio giudicare. Il pubblico può condividere, o meno, una storia ultraventennale nel Varietà, cosa che non trovo nei programmi televisivi, accozzaglia di barzellette e indovinelli da villaggio turistico. In quanto attore, io mi offro a tutti i linguaggi dello spettacolo».
Cosa pensa della satira di oggi in Italia?
«La satira è sempre esistita a guardia contro il potere, per mostrare che il re è nudo. Ma è la cultura a essere importante, sempre. Se il mercato deve offrire di tutto e il governo taglia il Fondo unico per lo spettacolo, è chiaro che il livello della cultura si abbassa. Questo governo non ama la cultura né vuole la ricerca, e non sostiene l’università. Questo è il Paese dell’arte di arrangiarsi. Ammiro i giovani che vogliono capire, porsi domande. Ma i giornali preferiscono raccontare che i giovani sono soltanto problematici».
La sua omosessualità ha condizionato in qualche modo la sua carriera?
«No. E, anche se così fosse stato, non mi sarei fermato. Nessuno può influenzare le mie scelte artistiche e personali. Invece, se fossi stato un mafioso, un camorrista, o un politico truffatore ai danni dei cittadini, quello sì, che certamente mi avrebbe condizionato».