Il ruolo delle competenze nell’incertezza del futuro

11 Aprile 2025

Potranno affrontare le sfide del domani le imprese in grado di creare valore nel tempo. Il nuovo rinascimento della cultura aziendale deve passare attraverso
il recepimento delle tecnologie emergenti e l’evoluzione delle capacità delle proprie risorse umane

PESCARA. La profonda trasformazione dell’ambiente economico globale continua a caratterizzare gli scenari competitivi con crescenti livelli di incertezza e complessità. Se nei precedenti decenni gli eventi imprevedibili e ad alto impatto sul contesto economico produttivo erano rari e distanti nel tempo, allo stato attuale l’incertezza è diventata la nuova normalità. Le aziende di ogni settore si trovano di fronte a sfide senza precedenti, dovute a fattori come la globalizzazione, l’avvento della tecnologia digitale e dell’intelligenza artificiale, le crisi economiche, le pandemie, le guerre, il rischio geopolitico a livello internazionale. È opportuno, dunque, porsi due domande. Le aziende sono pronte ad affrontare il livello di incertezza? I risultati economico-finanziari conseguiti in passato sono garanzia della loro capacità di sopravvivenza nell’avvenire? La risposta a tali domande non è immediata, poiché quando si ha a che fare con scenari prospettici il rischio che le previsioni non si verifichino è connaturato con l’incertezza stessa che caratterizza il processo di previsione. Allo stesso tempo, però, la dottrina economico-aziendale e l’analisi empirica forniscono spunti di riflessione sugli elementi che possono supportare le aziende nella navigazione in contesti non deterministici di ambiguità e assenza di linearità.

IL VALORE DELLE ATTIVITÀ IMMATERIALI

Recenti studi scientifici (CFA Institute. Investor Perspectives: Intangible Assets, 26-3-2025) evidenziano che gli investimenti in attività immateriali, misurati nelle statistiche del Pil, hanno superato in valore gli investimenti in attività tangibili nei mercati sviluppati. L’incremento medio del rapporto price to book value delle azioni societarie (ovvero il differenziale tra il valore attribuito alle azioni societarie dal mercato e quello nel bilancio di esercizio) è diretta conseguenza della crescita del valore di attività immateriali possedute dalle aziende, che però non trovano rappresentazione nei bilanci economico-finanziari. Del resto, le più grandi aziende a livello globale sono connotate da un’elevata intensità di risorse immateriali, che trovano rappresentazione quantitativa solo in occasione di operazioni straordinarie sul capitale (valutazioni da parte di investitori, processi di quotazione, etc). Quanto più le aziende accumulano risorse immateriali quali leve prioritarie della capacità di creare valore nel tempo, tanto meno i tradizionali strumenti del bilancio di esercizio e dei correlati indicatori di performance saranno in grado di rappresentare tale valore.

A conferma di ciò, le numerose istanze presentate agli organismi standard setter, affinché includano la valorizzazione di tali componenti in un bilancio “integrato”, che offra una visione più trasversale del valore delle risorse, tangibili e intangibili, ambientali e sociali, assorbite o generate dall’azienda. Dunque, in fase di valutazione dell’opportunità di acquisizioni, fusioni o operazioni di finanziamento, il potenziale investitore tende a valutare l’azienda, nella sua capacità di creare valore nel tempo, attraverso un processo dinamico e trasversale integrato con analisi di mercato, dati finanziari, profili tecnologici, know how, fattori di rischio, sostenibilità e parametri Esg: variabili non rappresentate direttamente nel bilancio di esercizio, né nel relativo sistema di indicatori di performance.

LA CAPACITÀ DELLE AZIENDE DI AFFRONTARE IL LIVELLO DI INCERTEZZA

Volendo quindi riprendere le domande poste in apertura, è possibile tratteggiare una prima possibile risposta: la capacità dell’azienda di creare valore nel lungo periodo va ricercata nelle cause promozionali più profonde del suo funzionamento, prima che nei numeri di bilancio e deve essere “misurata” sulla sua capacità di acquisire competenze a livello individuale e soprattutto organizzativo, in modo da rendere l’azienda flessibile e proattiva di fronte alle sfide poste dagli scenari attuali e prospettici. Cosa che peraltro emerge anche dalla recente indagine di PwC (28° Annual Global & Italian Ceo Survey, PwC, 2025), secondo cui in Italia persiste la diffusa preoccupazione per la mancanza di competenze chiave nella forza lavoro.

LA MINACCIA DELLO SKILL GAP

Nel sondaggio di quest’anno, il 35% dei Ceo italiani, con percentuale in crescita rispetto all’esercizio precedente, ha individuato nello skill gap la principale minaccia per l’anno a venire, seguita da volatilità macroeconomica e cambiamento tecnologico. L’implementazione di nuove tecnologie, infatti, preoccupa il 20% dei Ceo italiani intervistati, percentuale superiore a quella registrata in Germania, Francia e negli Stati Uniti. Minore propensione all’innovazione rispetto ai principali competitor, dunque, oltre alla diffusa incertezza riguardo ai cambiamenti che l’intelligenza artificiale potrebbe apportare. Le sfida imposta dall’innovazione tecnologica, dunque, alimenta ulteriormente l’incertezza sul futuro delle risorse umane ed economiche necessarie. In ogni caso, il 46% dei rispondenti alla survey di PwC (contro la media globale del 33%), ha posizionato il possesso di competenze adeguate al terzo posto nella classifica dei fattori che influenzano maggiormente la sostenibilità delle aziende nel medio-lungo periodo. La stessa indagine sottolinea, purtroppo, che il ritmo della trasformazione è ancora lento, nonostante l’espansione in nuovi settori e l’accelerazione degli investimenti in ricerca e sviluppo e in nuovi prodotti e servizi innovativi: in media, solo il 4% dei ricavi negli ultimi cinque anni è derivato da nuove attività aggiunte dalle aziende. Resta evidente che la capacità di colmare lo skill gap è una questione strategica ed è pertanto necessario rafforzare, in quello che potremmo chiamare un nuovo rinascimento della cultura aziendale, l’investimento nella creazione di competenze e in risorse immateriali.

LA TRASFORMAZIONE STRATEGICA

ll percorso innovativo va articolato attraverso alcune direttrici: la trasformazione digitale e il recepimento delle tecnologie emergenti legate all’intelligenza artificiale; la transizione verso la sostenibilità e il recepimento dei parametri Esg; la trasformazione dei propri modelli di business verso partnership e collaborazioni; la valorizzazione delle competenze e la flessibilità decisionale; la rimozione delle inefficienze organizzative e l’incremento della propensione all’innovazione. Solo in tal modo, grazie alla valorizzazione del proprio patrimonio intangibile (cultura, valori, risorse immateriali, capitale umano), si riuscirà a tutelare la capacità dell’azienda di sopravvivere e continuare ad operare nel lungo periodo.

LA NORMATIVA GIURIDICA

Allo stato attuale inoltre, per certi aspetti, anche la normativa giuridica ha fatto propri i postulati da tempo definiti dalla disciplina economico-aziendale, laddove ha stabilito (art. 2086 codice civile) che «…l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale…». In altre parole, è la legge stessa a richiamare l’imprenditore affinché si doti dei presidi necessari quali strumenti di controllo interno, meccanismi di monitoraggio, strumenti di contabilità analitica e direzionale, meccanismi di incentivazione, definizione di budget e analisi a consuntivo, etc, che possano contribuire a un processo decisionale consapevole e tempestivo. Tale presidio rientra a pieno titolo nella struttura di governance dell’azienda e, come sempre sostenuto dalle discipline aziendalistiche e più di recente anche dalla norma giuridica, ne diviene elemento imprescindibile, dalla più piccola alla più grande. Ciò al fine di accompagnare le imprese nel processo di trasformazione profonda, consapevole e strategica necessaria per adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato e dell’ambiente circostante, rivedendo costantemente e flessibilmente strategie, processi e operazioni.

* Professore Ordinario di Economia Aziendale
Dipartimento di Economia Aziendale

Università di Chieti-Pescara