La senatrice Pezzopane: io giudice di Berlusconi

La vice presidente della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari: «La condanna definitiva rende inevitabile il voto sulla decadenza»

L’AQUILA. Si era ripromessa, una volta eletta a Palazzo Madama, di “richiamare” l’ex premier Silvio Berlusconi al rispetto degli impegni assunti con gli aquilani nel corso delle sue tante visite nella città devastata dal terremoto del 6 aprile 2009. Viaggi “bruscamente” interrotti dall’allora presidente del Consiglio dei ministri all’inizio del 2010, quando all’Aquila cominciò a tirare aria di contestazione.

Ma la senatrice Stefania Pezzopane quel “richiamo” a Berlusconi, non è riuscita proprio a farlo.

«Non c’è stata l’occasione», afferma la parlamentare del Pd, «poiché Berlusconi in questi mesi si è fatto vedere solo un paio di volte a Palazzo Madama dove è rimasto, sempre circondato dai suoi fedelissimi, giusto il tempo strettamente necessario per votare. Non mi è stato possibile avvicinarlo per ricordargli dell’Aquila e delle sue tante promesse mancate, una dopo l’altra».

Ma la strada della senatrice Pezzopane, che nell’anno del terremoto era alla guida della Provincia, in questi giorni è tornata comunque a incrociarsi con quella dell’ex premier. Al Senato la Pezzopane ricopre, infatti, l’incarico di vicepresidente della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, quella che sarà chiamata a pronunciarsi sulla decadenza – dal mandato di parlamentare – di Berlusconi, la cui condanna a 4 anni per frode fiscale è ormai definitiva.

La Giunta si occuperà il 9 settembre del caso Berlusconi. E dovrà farlo nonostante le pressioni e gli ultimatum circa il futuro del governo Letta. Che effetto le fa doversi occupare di una questione così spinosa?

«In realtà il percorso è già tracciato e non sarà possibile per nessuno prendere scorciatoie. Berlusconi era già al centro dell’attenzione della Giunta che stava affrontando la questione dell’ineleggibilità, sulla scorta della legge 57. Personalmente avevo già chiesto, sempre relativamente alla vicenda giudiziaria Mediaset – quella per la quale ora la condanna è definitiva – di poter esaminare autorizzazioni e visure camerali. Ora, dopo il pronunciamento della Cassazione, entra in gioco anche la legge Severino (quella anticorruzione del 2012) che non lascia incertezze e discrezionalità. Una condanna penale superiore ai due anni impone l’immediata decadenza. Una procedura che ha, però, bisogno di un percorso formale. Il 9 settembre il relatore (Augello del Pdl, ndr) dovrà fare la sua proposta. Chiaramente ci attendiamo che tutto vada come previsto dalla legge. Comunque sia, nell’uno o nell’altro caso, noi voteremo la decadenza di Berlusconi, rispettando così le leggi di questo Paese».

Dalla notte del terremoto e poi fino all’inizio del 2010, Berlusconi è stato molto presente all’Aquila, in più di un’occasione per il taglio di qualche nastro. Poi l’idillio con la città è finito. Cosa è cambiato?

«L’Aquila si è sentita sedotta e abbandonata. Sedotta dalle promesse di una ricostruzione rapida per poi essere trattata con un cinismo impressionante, che non trova alcuna giustificazione. Le presenze di Berlusconi erano sempre finalizzate a qualcosa da esternare. Era abile a mostrare al Paese che era interessato ai nostri problemi. Ricordo che in una riunione “ristretta” sul problema delle tasse, alla quale erano presenti il sottosegretario Gianni Letta, il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, il presidente della Regione Gianni Chiodi e il sindaco Massimo Cialente, chiamò al telefono il ministro dell’Economia e delle finanze Giulio Tremonti per caldeggiare le nostre richieste. Lo chiamava familiarmente Giulio e quelle sue parole sembrarono allora rassicuranti. Invece, era tutta una finzione. Non potevamo immaginare che ci fosse tanto cinismo. Eravamo terremotati, sfollati e disperati. In alcune circostanze abbiamo anche sperato, nonostante tutto, di poter contare su un comportamento leale da parte di chi in quel momento era alla guida del governo. Invece, le cose sono andate in modo diverso e alla fine anche la città è stata costretta a prenderne atto».

Qualcuno ha rimproverato il centrosinistra aquilano di esser caduto nella trappola delle lusinghe e delle promesse. È così?

«Per me Berlusconi è sempre stato, e resta, un avversario politico. Nel 2009 L’Aquila è stata colpita da una tragedia grandissima, da un terremoto che ha seminato distruzione e morte. Speravamo di poter contare sull’aiuto sincero, senza secondi fini, di chi in quel momento era al governo del Paese. Invece, via via, ci siamo visti costretti anche a partecipare con Berlusconi a qualche inaugurazione, perché quello era l’unico modo per far sapere agli aquilani che stavamo aprendo strutture realizzate con i soldi degli italiani e non con il patrimonio personale del Cavaliere. Per non parlare poi delle necessarie levate di scudi, delle manifestazioni di protesta – all’Aquila e a Roma – per poter avere lo stesso trattamento riservato in passato ad altre popolazioni terremotate. E siamo ancora qui a chiedere fondi certi per la ricostruzione che sarebbero potuti arrivare attraverso il ricorso a una tassa di scopo» .

In più di un’occasione lei ha invitato Berlusconi a tornare all’Aquila dove l’annunciato miracolo della ricostruzione non si è materializzato. Ha mai avuto risposte?

«No e sinceramente non ho mai sperato di averne. Del resto il terremoto è stata per lui l’occasione per tante passerelle. Dell’Aquila è tornato a parlare in parlamento una sola volta, quando a fine 2012, in sede di discussione del decreto, è intervenuto in aula per chiedere cio che noi (amministrazione comunale in testa) stavamo sollecitando, ovvero un miliardo all’anno per la ricostruzione. Quella sua dichiarazione si è ben presto rivelata una boutade, l’ennesima, considerato che nessuno del centrodestra ha poi sostenuto in aula quella proposta. Lui stesso non ha mosso un dito a favore delle giuste richieste per la ricostruzione dell’Aquila e dei comuni del cratere. Nel corso di questa legislatura al Senato si è fatto vedere due volte: una per l’elezione del presidente Pietro Grasso e l’altra per la fiducia al suo ministro Angelino Alfano. A onor del vero, ha partecipato anche all’elezione, a Camere riunite, del presidente della Repubblica. Poi più nulla. È decisamente il parlamentare più assenteista e non si comprende la ragione per la quale il Pdl continui a sbracciarsi tanto per evitargli la decadenza visto che qui non viene mai. È una questione di rispetto per il Paese e per le istituzioni».

C’è chi, anche all’interno del suo partito, afferma che Berlusconi andava messo fuori gioco sul piano politico e non su quello giudiziario...

«Berlusconi è stato condannato per un reato molto grave. E si tratta di una condanna ormai definitiva. La legge è chiarissima e noi abbiamo il compito di applicarla. L’ho detto e lo ripeto: in questa vicenda non ci sono scorciatoie possibili. E non è edificante assistere ogni giorno al ripetersi di ultimatum e “minacce” circa la tenuta del governo Letta. Berlusconi, se vuole, potrà continuare a far politica, ma non il senatore».

È finita un’era?

«Certamente. E non solo a causa della sentenza della Cassazione. È finita la possibilità di confronto con questo centrodestra ed è altresì necessaria una nostra riorganizzazione. Non possiamo dimenticare che alle ultime elezioni siamo stati proprio noi del centrosinistra a ridare ossigeno a Berlusconi».

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