Cosa è successo in Siria: massacro con oltre 700 morti, è di nuovo il caos

Una conta infinita di vittime civili, tra cui molte donne e bambini, e intere famiglie sterminate, una giostra infernale di nomi di villaggi alawiti dove i corpi uccisi sono rimasti lungo le strade, le case in fiamme. È la scia di sangue lasciata dai miliziani sunniti
ROMA. Una conta infinita di morti civili, tra cui donne e bambini, una giostra infernale di nomi di villaggi alawiti, sulla costa siriana e sulle rive dell'Oronte, dove i corpi degli uccisi sono rimasti a lungo per le strade e dove le case hanno bruciato dopo il passaggio di miliziani sunniti, siriani ma anche stranieri. Dei paesi occidentali e arabi solo la Francia ha condannato le violenze contro gli alawiti siriani. L'Osservatorio per i diritti umani in Siria, che opera da quasi 20 anni nella documentazione delle violazioni nel paese, ha finora contato da giovedì scorso l'uccisione sommaria - da parte delle forze di sicurezza del nuovo leader Jolani - casa per casa, di 532 civili alawiti, branca dello sciismo identificata da decenni col potere dell'ex regime della famiglia Assad, dissoltosi lo scorso 8 dicembre.
Il bilancio è in continuo aggiornamento, mentre arrivano dalle varie località colpite i necrologi delle famiglie sterminate, assieme alle numerose foto di corpi scomposti - la cui autenticità è stata verificata incrociando diverse testimonianze sul terreno - e senza vita di uomini, donne e bambini, riversi a terra, sui divani, sui letti, con fori di arma da fuoco al capo, al ventre, al petto. La Rete siriana per i diritti umani, da alcuni considerata vicina al nuovo governo guidato da Jolani, fino a poche settimane fa a capo della coalizione jihadista Hayat Tahrir Sham (Hts), ha riferito di oltre 120 militari governativi uccisi da membri dell'ex regime degli Assad.
Tutto è cominciato giovedì scorso, con un agguato da parte dei miliziani alawiti, indicati come «membri dell'ex regime», contro una pattuglia di armati governativi nella zona di Jabla, a sud di Latakia, principale porto siriano. L'uccisione di 14 armati governativi e gli attacchi sferrati da altre cellule dell'ex regime nella regione di Latakia e a Baniyas anche contro civili sunniti (la Rete siriana ha contato 26 civili sunniti uccisi) ha innescato una spirale di violenza, da troppo tempo, decenni in molti casi, rimasta sotto le ceneri di un paese sempre più segnato dall'odio inter-comunitario.
Il presidente è intervenuto venerdì sera con un discorso pubblico, di fatto a sostegno delle uccisioni in corso. Jolani ha minacciato «i membri dell'ex regime» di arrendersi senza però condannare le violazioni dei miliziani fino a poche settimane ai suoi ordini. Tra questi, come dimostrano diverse testimonianze, foto e filmati, ci sono combattenti caucasici, dell'Asia Centrale e della Cina, rimasti negli ultimi tre mesi sulle montagne tra le regioni di Idlib e quella di Latakia. Gran parte delle uccisioni sommarie avvenute nelle case, per le strade, negli oliveti e nei campi di grano della zona costiera e a ovest di Hama sono state compiute tra venerdì e sabato mattina. Nel pomeriggio, i media governativi hanno riferito di una situazione «gradualmente sotto controllo».