La pazienza che serve a noi eremiti
Le giornate che tornano ad allungarsi, grazie al trucco umano dell’ora legale, fomentano in noi un sentimento che ci fa soffrire in queste interminabili settimane del virus. Ora dopo ora, non sopportiamo più la clausura che ci allontana dalla vita piena davanti alla quale passavamo con distrazione come davanti alle vetrine di un negozio di cui conosciamo a menadito le mercanzia. È l’impazienza il dolore che fa da rumore di fondo a queste nostre giornate da eremiti in casa. La pazienza che scema, mano a mano che passano i giorni, è quella che, invece, si pretende da noi in attesa che la vita riprenda il suo corso normale. Ma la pazienza che ci si chiede è un dono che si avvicina a un attributo divino. Simone Weil, che fu severa con se stessa come il Dio del Vecchio Testamento con il suo popolo, ne faceva un tratto necessario del nostro stesso rapporto con la divinità. «Dio», scrive la mistica francese nei sui Quaderni, «attende con pazienza che io voglia infine acconsentire ad amarlo. Dio attende come un mendicante che se ne sta in piedi, immobile e silenzioso, davanti a qualcuno che forse gli darà un pezzo di pane. Il tempo è questa attesa». E l’umiltà in questa sospensione della vita che è l’attesa, secondo Simone Weil, ci rende simili a Dio.
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