Le fake news ai tempi del coronavirus, come difendersi dalle bufale

13 Marzo 2020

L’erba cattiva non muore mai, anzi, in tempi di crisi prospera. Ma la sorveglianza e la soglia di attenzione sono in questi giorni molto alte

Si sa, l’erba cattiva non muore mai: anzi, in tempi di crisi prospera. Con l’avvento delle misure straordinarie del governo italiano, la comunicazione digitale torna al centro dell’eterno dibattito fra complottisti e realisti, fra attendibili comunicazioni istituzionali e quantomeno dubbie catene su Whattsapp e post di Facebook dalle sfumature surreali.
Negli ultimi giorni ci hanno segnalato decine di fake news, audio fasulli, video di mesi addietro spacciati per testimonianze dirette di conseguenze del Coronavirus, e tante altre discutibili “notizie”.
Dalla vitamina C spacciata per “miracolosa cura per il Covid-19”, all’infallibile “trattenere il respiro per più di 10 secondi”, o “bere acqua ogni 15 minuti” (come “scoperto dai ricercatori giapponesi”), o ad aglio, cipolla e liquirizia come “antivirali che aiutano a prevenire il coronavirus”.

Qualcuno ha azzardato sostenere che persino il fumo di sigaretta (e derivati) possa fungere da meccanismo di protezione contro il coronavirus, ma la questione è stata presto liquidata dagli addetti ai lavori, come spiegato in questo articolo (http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=82443) che al contrario evidenzia la più alta probabilità di finire in terapia intensiva per i fumatori. Persino il ministero dell’Interno si è esposto sulla questione, dedicando un post sul sito ufficiale alla prevenzione della disinformazione (https://www.interno.gov.it/it/notizie/coronavirus-e-fakenews-attenzione-notizie-false), smentendo in particolare la bufala sul protocollo di contenimento sedicente “BLS-4”.

In Abruzzo circolano da giorni bufale sul contagio di strutture sanitarie pubbliche e private, smentite prontamente dalla Asl di Pescara con un post su Facebook (https://www.facebook.com/184492518253273/posts/2776114152424417?sfns=mo), che ricorda ai cittadini come la diffusione di notizie infondate che possano seminare il panico sia un reato penalmente perseguibile (art. 658 del codice penale). Girano anche messaggi riguardanti attività commerciali i cui proprietari sembrerebbero essere stati contagiati, in un italiano stentato ed in assenza di ogni prova (ennesimo caso passibile di denuncia per procurato allarme).

Sul web invece prosegue l’impegno in prima linea del sito bufale.net (https://www.bufale.net/tag/coronavirus/), che tiene costantemente aggiornato un database di fake news sul coronavirus, verificando, smentendo e confermando le notizie che circolano online: hanno raccolto, dal 25 Gennaio ad oggi, 23 pagine di notizie verificate o stroncate sull’argomento.
Alcune davvero improbabili riguardano la disinfestazione notturna tramite elicottero (https://www.bufale.net/coronavirus-dalle-ore-23-di-questa-sera-fino-alle-ore-5-del-mattino-disinfestazione-con-gli-elicotteri-in-citta/) oppure il buono da 50€ regalato dalla PS4 a tutti i ragazzi che rimangono a casa (https://www.bufale.net/guarda-ps4-regala-un-buono-da-50e-a-tutti-i-ragazzi-che-rimangono-a-casa/).
La raccomandazione che ci sentiamo di fare a tutti i cittadini è quella di verificare sempre la fonte delle notizie, evitando di spargere anche involontariamente informazioni non verificate che possono generare confusione e panico.

Come abbiamo riportato qualche giorno fa (https://www.ilcentro.it/l-aquila/bufala-coronavirus-sui-social-c-%C3%A8-la-prima-denuncia-1.2386757), le conseguenze possono essere gravi.
Diceva Ian Kaltz, giornalista britannico: “Le fake news non sono un problema che riguarda la tecnologia, sono un sintomo della sfiducia nei confronti dei media”.
In tempi come questi, i giornalisti hanno una grande responsabilità, che devono onorare quotidianamente, anche fornendo ai lettori gli strumenti per poter interpretare la realtà.
Per concludere, vi segnaliamo uno dei migliori articoli scritti (in tempi non sospetti, nel 2017) da Milena Gabanelli e Martina Pennisi sui comportamenti da adottare per difendersi dalle fake news (https://www.corriere.it/video-articoli/2017/12/21/fake-news-istruzioni-l-uso/31019b84-e656-11e7-a31d-9c65415bd8d8.shtml) la cui conclusione dovrebbe essere apposta sotto ogni articolo sull’argomento che sia degno di rispetto:
“Un anno di intenso dibattito globale ha insegnato qualcosa a tutti. Alle piattaforme, che stanno intervenendo sui loro algoritmi per abbattere la visibilità di portali che mentono sulla loro origine e finalità (Google) o dei post costruiti solo per ottenere clic (Facebook) e per tagliare gli introiti pubblicitari ai portali di bufale. Alle testate giornalistiche, richiamate all’ordine dal successo delle assurdità online e dalle accuse dei politici di spacciare falsità. Trump negli Stati Uniti, ma anche Grillo in Italia. Gli abbonamenti digitali del New York Times hanno beneficiato subito del ciclone fake news, con un’impennata nel quarto trimestre del 2016, e hanno registrato la più importante progressione di sempre nei primi tre mesi del 2017.
Questa tendenza ci porta al ruolo degli utenti. I lettori. Devono, dobbiamo, in primis imparare a navigare consapevolmente, verificando fonti e firme e assumendoci la responsabilità di quanto condividiamo. E dobbiamo renderci conto di come l’illusione dell’informazione gratuita abbia contribuito all’implosione del contesto in cui le fake news e i loro produttori hanno trovato terreno fertile. Qualità, tempestività, selezione, autorevolezza e completezza hanno un prezzo”. Come ha un prezzo l’irresponsabilità di chi diffonde notizie false. D’altronde lo disse anche Milton Friedman (premio Nobel per l’economia 1976) per spiegare il costo opportunità (ma tanti fisici utilizzano questa dicitura anche per spiegare la seconda legge della termodinamica): “There is no such thing as a free lunch”. Ovvero, in italiano: “nessuno ti regala nulla” (letteralmente: “Non esistono pranzi gratis”).

C’è sempre un secondo fine dietro le fake news: sono notizie, gratuite, che influenzano l’opinione pubblica orientandola verso certe posizioni supportate però da una realtà finta (dall’inglese “fake”, falsa), per interesse spesso economico e perché chi le pubblica fino a qualche tempo fa non rischiava nulla, la maggior parte delle volte evitando persino di metterci la faccia e firmando in maniera anonima gli “articoli”.
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