Terremoti, gli scienziati studiano modelli per prevederli
L'Italia partecipa con l'Ingv a un progetto che, nei prossimi cinque anni, potrebbe dare valutazioni probabilistiche attendibili
ROMA. È una delle sfide più avvincenti e discusse, ma finalmente sembrano esistere modelli per la previsione dei terremoti, anche se c'è ancora moltissima strada da fare. Questi modelli forniscono delle probabilità scientificamente accurate per terremoti di diversa magnitudo; questi sono i risultati di una recente ricerca internazionale condotta dalla rete Csep (Collaboratory for the study of earthquake predictability), alla quale l'Italia partecipa con ricercatori dell'istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) accanto a California, Nuova Zelanda e Giappone. La Cina è in fase di adesione. I primi risultati, relativi al periodo 2009-2014, sono pubblicati sulla rivista Seismological research letters e comprendono anche il test basato sui dati del terremoto del 2012 in Emilia Romagna. Si tratta di uno degli esperimenti in corso nei Paesi protagonisti della rete, basati sul confronto tra i dati rilevati dai sismometri e le previsioni dei modelli.
«Non siamo in grado di dire se domani ci sarà un terremoto, ma di calcolare delle probabilità», ha detto all'Ansa il sismologo Warner Marzocchi, dell'Ingv, che è fra gli autori dell'articolo con Matteo Taroni. Nel 2017, sempre nell'ambito del Csep, gli stessi ricercatori, con Giuseppe Falcone, avevano pubblicato i risultati preliminari del confronto fra i modelli di previsione e i dati reali della sequenza sismica di Amatrice-Norcia del 2016. Gli esperimenti sono condotti su periodi di un giorno, tre mesi e cinque anni; le prime sono certamente le più innovative e potrebbero essere utilizzate in futuro dalla commissione Grandi rischi e dalla Protezione civile per la gestione delle sequenze sismiche. A entrambe, comunque, i dati degli esperimenti italiani vengono comunicati da alcuni anni in via sperimentale. Il modo in cui potranno essere utilizzati in futuro sarà valutato anche considerando la difficoltà di comunicare e gestire stime scientifiche probabilistiche.
Al momento, «il confronto fra le previsioni fatte e i dati osservati permette di individuare i modelli più efficienti», ha detto ancora Marzocchi. «Grazie alla rete Csep, si riesce a spostare in un ambito scientifico tutte le discussioni sulle previsioni». Dopo questo primo round si prevedono altri cinque anni di test dei modelli. Al momento, chiosa Marzocchi, «siamo lontani anni luce da quello che si intende con previsione, ma certamente siamo in grado di indicare come le probabilità cambiano nel tempo e nello spazio».