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27 GIUGNO

Oggi, ma nel 1829, a Palinuro di Centola, in provincia di Salerno, davanti al telegrafo che avevano incendiato l’anno prima, venivano fucilati e poi decapitati, dagli agenti della polizia borbonica tre fratelli Capozzoli, Patrizio, Donato e Domenico, ritenuti cospiratori. Le loro teste venivano portate in giro nel circondario come monito.

I tre malcapitati (nella foto, particolare, il cippo commemorativo, in pietra, collocato dall’amministrazione municipale di Monteforte Cilento, della Comunità montana Calore salernitano, il 19 luglio 2009, nello scatto di Massimo De Santis) erano stati tratti in arresto, il 17 giugno precedente, in seguito al tradimento da parte di un loro confidente. Erano stati imprigionati dapprima a Vallo della Lucania e poi a Salerno.

In quell’ultima sede erano stati condannati alla pena capitale dopo il processo sommario. Le vittime erano state animatrici della banda che portava il loro cognome, capeggiata da Domenico, che pur essendo il minore era il più carismatico, coadiuvato da Pasquale Russo e Francesco Ciardella, tutti provenienti da Monteforte Cilento. Il gruppo era stato animatore dei moti insurrezionali cilentani, scoppiati il 27 giugno 1828, con l’occupazione del fortino di Monte d’oro di Capo Palinuro, postazione strategica per il controllo della spiaggia.

Contestualmente i rivoltosi avevano proclamato il governo provvisorio che reclamava la costituzione del 1820, da parte di Francesco I delle Due Sicilie. Ma la sommossa era stata repressa duramente da Francesco Saverio Del Carretto, capo della gendarmeria del regno. Eppure i tre fratelli Capozzoli erano riusciti a riparare all’estero, in Corsica. Luigi e Gaetano Capozzoli, altri fratelli superstiti, prenderanno parte ai moti cilentani del 17 gennaio 1848, ma senza successo.