PALLA AL CENTRO
Bella o forte, anche l'Inter nel vortice
La legge del più forte o il fascino della bellezza? E’ questo il dilemma degli appassionati di calcio in Italia. Torna in maniera ciclica. La forza dei singoli o l’armonia del gioco collettivo? Per anni si sono contrapposti la Juventus che vinceva e il Napoli che giocava bene. Si diceva che i bianconeri di Allegri praticavano un calcio cinico e utilitaristico e i partenopei, al contrario, venivano riempiti di complimenti per la manovra avvolgente e il possesso palla. Pur senza vincere.
Il dilemma di sempre? Meglio più forte o meglio più bello? Sono rari i casi nel calcio in cui i due tratti distintivi sono coincisi. Ad esempio, il Barcellona di Guardiola. Il refrain sta riemergendo con l’Inter di Conte. Ha 11 punti di vantaggio sul Milan ed è avviata verso la conquista del 19° scudetto undici anni dopo aver conquistato l’ultimo. Basterebbe per celebrare l’impresa, tanto più se arriva al termine di una crescita netta fatta registrare dalla gestione Conte: prima dal quarto al secondo posto e poi dalla piazza d’onore alla prima. Tanto di cappello. Senza dimenticare che ha spezzato l’egemonia della Juventus che da nove anni vince la serie A ininterrottamente. Titolo meritato, tutti d’accordo. Ma… l’Inter non gioca tanto bene. La difesa a tre in Europa è superata. E così via. Obiezioni che lasciano il tempo che trovano. Magari di chi ama andare controcorrente. E di chi nel tempo ha demolito la gestione Allegri facendola passare per superata, tranne poi rimpiangerla. Anche perché il bello è soggettivo e l’essere forte è oggettivo.
Nel caso dell’Inter si parla del miglior attacco della serie A, in coabitazione con l’Atalanta, con 68 reti segnate in 29 partite. Non certo una squadra che specula. Tanto più che possiede la miglior coppia d’attacco del campionato, la meglio assortita, quella formata da Lukaku e Lautaro Martinez. Il belga ha realizzato 21 gol e l’argentino 15. Non solo, ma Conte ha dato il definitivo colpo di acceleratore verso la conquista dello scudetto (ormai anche i più scaramantici saranno d’accordo, d’altronde nessuno lo ha mai perso con 11 punti di vantaggio a nove giornate dalla fine) inserendo quell’Eriksen che è simbolo di qualità calcistica. I gusti sono personali, per carità, ma davvero c’è poco o nulla da obiettare sull’Inter di quest’anno e sul suo dominio. Anche sul profilo estetico. Dieci vittorie di fila nel girone di ritorno, ovvero nel momento in cui le partite valgono doppio e ci sono sempre meno margini per recuperare il terreno perso.
La verità è nel calcio occorre trovare un punto di equilibrio tra il bello e l’essenziale se l’obiettivo è quello di mettersi tutti alle spalle. Chi, invece, non ha l’assillo del risultato ha quella libertà mentale necessaria per cercare e trovare la giocata spettacolare o per sviluppare una manovra avvolgente e fascinosa. Tanto se sbaglia non ha nulla da perdere. E poi, secondo quella che è l’antica tradizione calcistica italiana, è bello anche – nel caso dell’Inter tanto per fare un esempio – vincere uno scontro diretto (con l’Atalanta) con un solo tiro in porta di un difensore (Skriniar) sugli sviluppi di un angolo. Dà un gusto particolare. A volte sembra davvero che si discuta sul nulla. Quasi che non si voglia ammettere una superiorità altrui. Il più delle volte di pensiero. Difficile e impegnativo dare un gioco gradevole a una squadra di calcio; ancor più difficile condurla alla vittoria. E poi in Italia agli ultimi allenatori che hanno vinto scudetti, Allegri e Sarri e prim’ancora allo stesso Conte, è sempre stato rimproverato il non giocare bene. Già, ma che cosa significa giocare bene? Perché è chiaro ed è stampato sui libri di storia, invece, la forza di chi riesce a vincere. E l’allenatore migliore è quello che riesce a trarre il massimo dalla rosa a disposizione. Vale in tutti i gruppi di lavoro.