Indebitato, vecchio e litigioso: il calcio italiano in crisi punti sui giovani
Come non accadeva dal 2016, nessuna squadra rappresenterà l'Italia nei quarti di finale di Champions League. Nessuna che valga un posto tra le prime otto in Europa. La capolista della serie A – ovvero l’Inter - non è riuscita a qualificarsi nella fase a gironi ed è rimasta fuori anche dall’Europa League per mano dello Shakhtar Donetsk, poi eliminato dalla Roma. Fuori a dicembre i nerazzurri. I campioni d’Italia in carica – da nove anni – invece sono usciti per il secondo anno di fila agli ottavi di Champions, nonostante la Juve sbandieri sempre la voglia di vincere la coppa dalle grandi orecchie. L’ultima italiana a conquistarla è stata l’Inter, nel 2010, nell’anno del Triplete. In Europa League, invece, l’ultimo trionfo risale al 1999, ad opera del Parma. Fino a qualche anno va andavano di moda le squadre spagnole, Real Madrid e Barcellona in primis guidate da Ronaldo e Messi. Adesso, inglesi e tedesche. Solo le formazioni francesi hanno un digiuno di vittorie più lungo delle italiane nelle coppe europee.
Ma a colpire non è solo il fatto che le italiane non vincano. No, il problema è che non ci si avvicinano nemmeno. Non sono competitive, questa l’amara verità. Un problema di risorse economiche scarse che impediscono di portare nel Belpaese i migliori talenti. Ma è vero solo in parte. C’è dell’altro. C’è un sistema che litiga sull’assegnazione dei diritti tv. Ci sono dei presidenti che prima sottoscrivono un protocollo sanitario anti Covid e poi cercano di dribblarlo per un tornaconto personale. Prima si cerca un accordo per far entrare i fondi di investimento, poi li si osteggia. Si guarda alla pagliuzza, non alla trave. Nel mentre il sistema – indebitato fino al collo - rischia di crollare da un momento all’altro per gli effetti della crisi dal pandemia.
La Figc si è dovuta “inventare” una deroga (a patto ci fosse l’accordo con i tesserati) per posticipare al prossimo maggio il pagamento degli stipendi di fine 2020. Questo tanto per rendere l’idea di che cosa accade nelle stanze dei bottoni. Ma c’è anche un problema di campo. L’Atalanta è una bella realtà, la sorpresa degli ultimi anni. E per tanto tempo tutti hanno ammirato il Papu Gomez. Molti lo hanno giudicato il miglior giocatore della serie A, magari esagerando. Sta di fatto che a gennaio l’argentino è andato via. Al Siviglia in Spagna, dove però gioca degli spezzoni. Quindi, quello che per molti era uno dei top player in serie A viene utilizzato a singhiozzo in Liga. Questo per far capire qual è il livello tecnico. Considerazioni che si sommano e vanno in un’unica direzione.
La preoccupazione è che non c’è limite al peggio. La barca affonda e non si fa nulla per rimetterla in sesto. La serie A sembra il cimitero degli elefanti. Vada per i tanti stranieri nelle rose delle squadre professionistiche. Troppi. Più che negli altri Paesi. Ma a stupire è l’età media alta ad alti livelli. Se il 36enne Cristiano Ronaldo e il 39enne Zlatan Ibrahimovic possono essere considerati delle eccezioni, che dire dei vari Ribery (Fiorentina), Mandzukic (Milan), Quagliarella (Sampdoria), Palacio (Bologna), Dzeko (Roma)? Puntare sui giovani è un azzardo in Italia. Il caso di Zaniolo alla Roma di Eusebio Di Francesco di qualche anno fa è l’eccezione che conferma la regola. Altrove no, negli altri Paesi si lanciano i ragazzini e si dà tempo agli allenatori per lavorare attorno a un progetto tecnico. Nei settori giovanili si privilegia l’aspetto tecnico e la crescita fisica, più che gli schemi. Non è un caso che la vera sorpresa del campionato, il Milan, ha l’età media più bassa (24,8 anni) della serie A. Sui giovani un tecnico può lavorare facendoli crescere. E il Milan è la squadra che più è lievitata nel rendimento nel giro di un anno. Servirebbe meno isteria. Servirebbe una classe dirigente più matura e lungimirante. Con una visione che vada oltre l’immediato. Non è solo una questione di soldi, ma anche di capacità. E in Italia vale anche nel calcio.
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